In memoria di Auer e Lama

Avevo cominciato a scrivere qualcosa sulla tragedia di Auer, Lama e Roskelley quando non era stata ancora ufficializzata la loro morte. Poi per varie ragioni avevo interrotto la scrittura. Nel frattempo, per ricordare i 3 fortissimi alpinisti sono usciti moltissimi articoli e alcuni di essi sono stati veramente toccanti. In particolare, vorrei ricordare un paio di articoli di chi ha conosciuto e incontrato Auer: Nicola Tondini, forte come pochi in Italia sulle vie di roccia in montagna, che ha ricordato tra le altre cose come Auer lo superò sulla via Tempi moderni sulla Sud della Marmolada: “posso assicurare che non ho ricordi di aver visto arrampicare qualcuno con quella sensibilità e velocità sulla roccia”; Luca Calvi, traduttore e autore di un divertente e commovente ricordo in cui compaiono anche Messner, Manolo e Ondra.

Non avrei mai voluto scrivere un articolo del genere, che tra l’altro non aggiungerà niente a chi ha scritto con molta più competenza, ma ne ho sentita la necessità.

La speranza, anzi l’illusione della speranza, è durata poco. Quando si è ricevuta la notizia di una grande valanga, si è provata la stessa sensazione inesorabile di due anni fa, quando arrivò la notizia della morte del più forte di tutti, Ueli Steck. In un’attività come l’alpinismo è difficile – forse anche poco sensato – stabilire chi sia il più forte, ma se si fosse chiesto a chiunque segua le cronache alpinistiche di fare due o tre nomi degli alpinisti attualmente più forti in circolazione, difficilmente non sarebbero saltati fuori i nomi di Auer e Lama. Personalmente, sarebbero stati i primi a venirmi in mente insieme allo svizzero Dani Arnold.

Mi piacerebbe riuscire a trasmettere anche a chi è estraneo o poco addentro al mondo dell’alpinismo che cosa significhino queste due morti per gli appassionati di montagna. Mi dispiace non poter scrivere nulla su Roskelley, anch’egli fortissimo scalatore, ma su di lui so poco e ho scelto di scrivere affidandomi alla memoria, più che alla ricerca affannata su internet.

Di Hansjörg Auer la prima cosa che colpiva chi lo vedeva in fotografia era probabilmente la scarsa avvenenza. Al contrario di Lama – fortissimo e anche bello – Auer, con i suoi dentoni, il suo mento asburgico e i suoi occhialoni, per conquistare la ribalta e gli sponsor poteva fare affidamento solo sulle sue salite strabilianti.

La salita strepitosa arrivò nel 2007 con la free solo della via Attraverso il Pesce sulla Sud della Marmolada. I più esperti mi perdoneranno se mi dilungherò a spiegare che cosa è la via Attraverso il Pesce e che cosa è una salita free solo.

La Sud della Marmolada è una splendida parete alta circa 1000 metri e larga 6000. Nel 1981 i cecoslovacchi Koller e Šustr aprirono una nuova difficilissima via. Šustr aveva appena 17 anni e in seguito sparì dalle cronache alpinistiche, come se avesse visto l’inferno, o come se avesse già raggiunto il paradiso.

Per la prima ripetizione della via, nel 1984, si dovette mettere insieme una cordata pazzesca con i migliori arrampicatori italiani: il re della Sud della Marmolada, l’austriaco ma italiano d’adozione Heinz Mariacher; Maurizio Zanolla, meglio noto come Manolo, ma detto anche il Mago, il più forte arrampicatore italiano; Luisa Iovane, prima donna al mondo a salire un 8a; Bruno Pederiva. Ricordo ancora quando lessi il resoconto della salita, stupenda e spaventosa. Alcuni anni dopo Mariacher e Pederiva chiusero la via in libera e successivamente l’altro re della Sud Marmolada, Maurizio Giordani, salì la via in solitaria, ma assicurandosi nei tiri più difficili.

Maurizio Giordani ci permette di introdurre l’argomento free solo, che è qualcosa di profondamente diverso dalla salita in libera di una via. Salire in libera significa infatti usare corde, chiodi ecc. come mezzi di protezione e non di progressione, quindi chi sale in libera mette le mani solo sulla roccia per salire, ma è legato e in caso di caduta rimane appeso, ovviamente se chiodi o altre protezioni sono ben piantate e se durante il volo non si sbatte la testa o altro. Potreste anche trovare nelle cronache arrampicatorie il termine rotpunkt (e talvolta anche la sua traduzione inglese redpoint): senza addentrarci in dettagli storici e tecnici, si può dire che il termine è quasi sinonimo di salita in libera. Invece la salita free solo, della quale appunto Giordani è stato uno dei maestri sulla stessa Sud della Marmolada, non prevede l’uso della corda neppure come mezzo di protezione, anzi, una vera salita free solo non prevede neppure che l’arrampicatore porti con sé la corda in uno zaino. Ci possono essere ovviamente forme ibride o spurie, soprattutto in montagna, quando può essere necessario portarsi la corda per effettuare la discesa, come, per esempio, ha fatto più di una volta l’austriaco Markus Pucher sul Cerro Torre, oppure – è il caso forse più singolare – come fece un maestro delle solitarie come Dean Potter sull’Eiger salendo Deep Blue Sea con un paracadute da base-jump sulle spalle.

Forse si sarà capito che il free solo su alte o addirittura altissime difficoltà è territorio per pochi eletti (o folli): è vero. Dal maestro dei maestri, Paul Preuss, morto oltre cent’anni fa proprio scalando da solo e slegato, ad Alex Honnold, noto anche ai non addetti ai lavori specialmente da quando il film sulla sua salita di Frerider su El Capitan è stato premiato con il premio Oscar alcuni mesi fa. In mezzo alcuni nomi che fanno inchinare la testa in segno di rispetto al solo sentirli: Franco Perlotto, John Bachar, Peter Croft, Patrick Edlinger, Antoine Le Menestrel, Manolo, Wolfgang Güllich, Beat Kammerlander, Alex Huber, Ueli Steck, Dani Arnold, Dave McLeod, Dean Potter.

Per avere un’idea della grandezza della salita slegato della via Attraverso il pesce, è sufficiente pensare che fino a quando, nel 2017, Honnold non ha salito slegato Freerider (via tra l’altro aperta da un altro maestro delle solitarie, Alex Huber), l’exploit di Auer era da molti considerato la più ardita salita senza corda mai realizzata. Ardita anche per la modalità con cui venne effettuata, infatti la preparazione di Auer consistette in una salita effettuata alcuni anni prima e neppure interamente in libera e in una ricognizione effettuata per alcune ore solo sui passaggi più difficili il giorno precedente la salita. Poi, dopo la notte al Rifugio Falier, la salita in poche ore, fotografato per caso da una cordata che stava salendo un’altra via sulla parete. Per rendersi conto della mostruosità della cosa, si pensi che Alex Huber e Alex Honnold, i due soloist più rispettati degli ultimi 20 anni, prima delle loro salite più note senza corda sulle Alpi e in America, avevano salito e risalito con la corda le vie per conoscerle a menadito.

Auer invece sembrava possedere una spericolatezza superiore a quella dei più spericolati. Follia? Difficile dirlo. Anche quando il livello arrampicatorio è alto – e quello di Auer era molto alto -, il rischio è oggettivamente elevato quando ci si muove su appigli piccolissimi e non in fessura (su difficoltà anche alte in fessura, infatti, pare che specialisti come Croft e Honnold siano in grado di passeggiare anche senza corda). E Auer sembrava sfidare non solo la difficoltà, ma anche il pericolo con una bella dose di quella che noi gente normale chiamiamo incoscienza. Se Honnold sembra un calcolatore sempre in pieno controllo, un lucido, riservato e squinternato astemio e vegetariano, Auer sembrava un riservato e squinternato tirolese pronto a bere una birra in compagnia.

Auer ha continuato con nuove vie durissime anche sulla Sud della Marmolada, come se fosse il continuatore dell’opera di Mariacher e Giordani; vie spesso pericolose sui suoi cari monti tirolesi; scalate talvolta in compagnia proprio di David Lama; altre volte da solo e senza la corda, dando l’impressione non solo di sfidare la morte, ma di attraversarla. Un paio d’anni fa fece scalpore un breve video girato con la GoPro sul suo casco e pubblicato su Instagram: anche i profani si renderanno conto che ancorare una corda a uno spuntoncino ridicolo non è il modo più sicuro per calarsi in corda doppia. Infine, l’anno scorso la salita in solitaria dei 7181 metri del Lupghar Sar West in Karakorum, una salita a proposito della quale proprio lui disse di essersi trovato in situazioni molto rischiose. Ma se si leggevano le interviste in cui raccontava delle sue salite e delle situazioni in cui si trovava, ti trovavi sempre di fronte a un understatement e a una serenità pari al suo immenso amore per la montagna, un amore che lo portava a scalare in continuazione e a cercare le condizioni per salire davvero in solitaria: nessuno a fotografarlo, se non per caso, sul Pesce; un cuoco pakistano ad attenderlo al campo base e nessun drone per riprenderlo sul Lupghar Sar.

Per David Lama l’aggettivo che inevitabilmente è venuto a tutti in mente è quello di “predestinato”. Nato a Innsbruck da padre nepalese e madre austriaca non poteva diventare che un uomo di montagna. Ma fece di più e fu un bambino prodigio dell’arrampicata. La storia dell’arrampicata non manca di giovanissimi e fortissimi che bruciano le tappe, direi che la cosa è persino naturale per un’attività come l’arrampicata, quindi da Lynn Hill e Catherine Destivelle negli anni Settanta a Marc Le Menestrel, Fred Nicole e Pietro Dal Prà negli anni Ottanta fino a Chris Sharma nei Novanta, gli esempi non mancano. Tuttavia, con la diffusione delle gare e delle palestre indoor è arrivata una generazione di arrampicatori bambini tra i quali David Lama era, molto semplicemente, il più forte di tutti. E anche sulla roccia vera bruciò le tappe con risultati precoci mai visti fino a quando, da una galassia in quel di Brno, non è atterrato sul pianeta Terra l’alieno Adam Ondra. Vinto buona parte di quel che c’era da vincere nelle gare di arrampicata, David passò alla montagna e non potè far altro che compiere una di quelle salite che sembravano attendere l’arrivo di un predestinato: la libera della Via del compressore sul Cerro Torre in Patagonia. Da allora moltissime altre salite e una vita assiduamente tra i monti – d’inverno spessissimo con sci e pelli di foca – e anche la gratificazione degli sponsor che se lo contendevano, a partire dalla famosa bibita austriaca. E anche se il nome di Lama non è normalmente associato a salite clamorosamente pericolose come quelle di Auer, chi seguiva le sue imprese, sapeva benissimo che le vie che spesso e volentieri apriva su grandi pareti di roccia marcia non erano esattamente come una serena arrampicata ad Arco o a Finale.

L’anno scorso, anche lui fu autore di una salita in solitaria sulle grandi montagne asiatiche, con la prima salita assoluta dei 6907 metri del Lunag Ri, al confine tra Tibet e Nepal, una salita a lungo cercata, trovata al terzo tentativo ed effettuata con un freddo che rendeva molto difficile la progressione su terreno tecnicamente impegnativo.

Adesso forse ci si aspetterebbero delle parole di riflessione su un’attività rischiosa come l’alpinismo di altissimo livello, ma – davvero -, non riesco a trovarle, non solo perché io non sono in fondo neppure un alpinista, ma perché forse non ci sono. Auer concluse un’intervista dopo la salita del Lupghar Sar con queste parole: “Prima di partire ho confessato alla mia ragazza che non so perché ho così tanto bisogno di fare queste cose. Dopo questa spedizione, purtroppo non c’è ancora risposta. E forse non ce ne sarà mai.” Possiamo dire che negli occhi di Auer e Lama c’è stata un’infinita bellezza di montagne e appigli piccolissimi e chi è anche solo un appassionato e poco praticante di montagna sa quanto queste cose riempiano la vita.

Roskelley, Auer e Lama nella foto recuperata dal telefonino di Roskelley: i tre quasi sicuramente erano arrivati in cima prima di essere travolti in discesa.
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