Si potrebbe scrivere un elenco delle 10 montagne più belle: Cerro Torre, Ama Dablam, Cervino, Tre Cime di Lavaredo, Ayer’s Rock… monti che, vette alpine a parte, quasi sicuramente non vedrò mai. Oppure, si potrebbero elencare 10 sogni alpinistici impossibili (El Capitan, Torri di Trango…) o quasi impossibili, per quanto teoricamente pensabili (Couloir Couturier all’Aiguille Verte, Grandes Jorasses, Aconcagua – esageriamo!) Mi limiterò invece a 10 monti che ho salito.
Il mio monte. Più di tutti il “mio” monte. In una testa così montebiancocentrica come la mia il Monte Bianco dovrebbe essere il mio monte per eccellenza e, in effetti, la Testa Licony è importante prima di tutto perché è un punto di osservazione privilegiato del Bianco. Però su questo monte di quasi 3000 metri di altitudine si può fare una cosa speciale: puoi uscire di casa presto, salirci in vetta e tornare a casa per colazione (chiaramente bisogna andare molto veloci, non è proprio una cosa da tutti).
La scoperta di questo monte per me avvenne insieme alla nascita dell’invidia per chi ci era già salito. Non ricordo che anno fosse e questa è una cosa strana per uno come me, ma doveva essere il 1979 o, al massimo, il 1980, e una mattina mio padre, mio fratello e un amico partirono per il Lago Licony. Io ero piccolo e la gita al Lago Licony era la gita dura per eccellenza, perciò rimasi a casa senza protestare. Alla sera raccontarono di essere saliti fino in cima alla Testa Licony, che non sapevo neppure che esistesse, o, per meglio dire, non sapevo che quel monte sopra Courmayeur avesse lo stesso nome del lago. L’idea di quella salita così lunga mi si piantò in testa e cominciai a tormentare mio padre per poterci andare.
La tappa di avvicinamento, forse l’anno dopo, fu la salita al lago, sicuramente all’altezza della sua fama quanto a pendenza del sentiero. Quel che ricordo di più di quella salita sono i fiorellini rosa sul muschio e i nontiscordardimé, probabilmente perché la fatica mi costringeva a tenere lo sguardo basso.
Prima salita. Finalmente arrivò il momento della prima salita, probabilmente nel 1982. Giustamente, visto l’evento importante, la salita non riuscì al primo tentativo a causa del maltempo. In effetti, il giorno precedente la gita mi ero preoccupato perché ad un certo punto il cielo sereno si era rapidamente imbiancato di cirri, dopo un po’ dissoltisi. Siccome da qualche parte avevo letto che i cirri annunciavano maltempo, dentro di me mi preoccupai, ma non ne feci parola con nessuno.
Il mattino dopo partii con mio padre e un amico un po’ più grande di me, ma dopo un po’ più di un’ora cominciò a piovere, così tornammo indietro.
Stoici, il giorno dopo riprovammo e a noi si aggiunse un altro amico, anche lui di alcuni anni più grande di me. Questa volta arrivammo in cima e la grande sorpresa fu prima di tutto quella di vedere la Aiguille du Midi da un monte italiano. Caspita, eravamo davvero in un luogo speciale! E poi tutti gli altri monti della Val d’Aosta. Il sogno a lungo coltivato – e un sogno di due o tre anni per un bambino è un sogno lunghissimo – non svanì al contatto con la realtà: capii che su quel monte sarei voluto tornare tante volte e così feci negli anni successivi.
Quando non c’era il trail. Nel 1989 non si parlava ancora di skyrunning, o forse la parola era già usata da Marino Giacometti con qualche amico, non so neppure se da qualche parte si parlasse già di trail running, ma mi venne un’idea.
Ero appena tornato da due campi estivi di seguito, uno al Colle della Lombarda, uno a Cervinia. In pratica 20 giorni costantemente sopra i 2000 metri. Immaginatevi un diciassettenne in una forma fisica da keniano per qualche giorno a casa da solo a Dolonne: si butta alla scoperta della movida valdostana? Certo che no! Va ad arrampicare da solo, in linea di massima senza corda, e pensa agli enchainement, i concatenamenti. E sì, perché quelli erano gli anni di Christophe Profit ed Eric Escoffier che scalavano a velocità supersonica le grandi pareti nord. Allora il mio enchainement sarebbe stato quello di Testa Licony, Testa Bernarda e Chetif per un totale di circa 3400 metri di dislivello in salita.
Avvisai i vicini del mio progetto per il giorno successivo e fissai la sveglia per le 4 del mattino. Indeciso sull’attrezzatura da portare, infilai nel Berghaus Cyclops Guide (che ancora adesso in cantina funge da deposito corda e imbragature) gli scarponi che non tirai mai fuori perché usai solo le scarpe da corsa. Luce frontale accesa e la gioia di essere al mattino presto in cima, con la luce ancora un po’ rosata che illuminava il tratto dal Mur de la Côte alla vetta del Bianco, lì dove mi sarei trovato a camminare qualche settimana dopo. Pochi minuti in vetta, poi la discesa, la risalita al Col Sapin, Testa della Tronche, Testa Bernarda e la discesa al Rifugio Bertone, Courmayeur – con passaggio al panificio – e Dolonne. Era ancora presto, ora da tarda colazione, e la vicina, vedendomi mi disse “ah, poi non sei andato?” Mi misi a dormire e poi, sotto il sole meridiano, partii per lo Chetif per completare la corona dei 3 monti non alpinistici che circondano Courmayeur.
Due anni dopo un’idea simile, questa volta da 4000 metri di dislivello e senza lo Chetif, ma sempre con i 1700 metri di salita da casa alla Testa Licony. Ricordo la ricognizione del giorno precedente con un amico per andare a nascondere sotto un sasso nel Vallone dell’Armina un cartone di succo di frutta e qualcosa da mangiare. Il nascondiglio fu scelto bene perché il giorno dopo ritrovai il materiale, così potei continuare e, dopo un po’ di colli e vette, concludere al Colle di Malatrà, giusto un metro più basso della Testa Licony. Il rientro si concluse a Lavachey in Val Ferret, dove feci autostop, abitudine, quella dell’autostop, che non ho mai perso. Adesso dovete pensare che nel 1991 non era una cosa tanto frequente sentire di persone che appena dopo pranzo avevano finito di spararsi 4000 metri di dislivello in salita. Oggi, specialmente intorno al Monte Bianco, è normalissimo vedere gente che corre sui sentieri e che in poche ore fa quello che normalmente si farebbe in più giorni, ma 28 anni fa un diciannovenne che faceva autostop e che alla domanda “dove sei andato” rispondeva di essere andato lì, poi lì, quindi lì, dopo lì e infine lassù” doveva sembrare un po’ strano.
In gara. Passano gli anni, qualche altra salita e nel 2010 partecipo al Gran Trail Valdigne. La prima salita della versione corta (si fa per dire) della gara prevede all’inizio un bel doppio Kilometro verticale, cioè la Testa Licony da Morgex. Mi sento in forma, qualche settimana prima ho concluso molto bene il Cro Magnon da Limone a Montecarlo, ma quel giorno sulla salita non giro troppo bene e – accidenti – mi brucia non poco vedere tanta gente che mi supera proprio sul “mio” monte. Pazienza, mi rifaccio scendendo come un matto dalla Testa al Colle e, anche se non ho alcun elemento per dirlo, ancora oggi mi piace pensare che nessuno sia mai sceso così velocemente in quel tratto di sentiero. Di sicuro mi piacerebbe ritrovare condizioni simili, con un po’ di nevai sui quali lasciarsi scivolare, per verificare se davvero fossi potuto scendere in così pochi minuti.
Di nuovo in solitaria. Estate 2011: bisogna sfruttare il periodo in Vallée a luglio per preparare l’UTMB di fine agosto e quindi che cosa c’è di meglio che una bella salita e discesa da fare nel minor tempo possibile? Alle 6 del mattino esco di casa lasciando moglie e figli a dormire e dopo 2 ore e 1 minuto sono in cima. 22 anni dopo il primo enchainement continuo a difendermi e so che posso muovermi in montagna superleggero: un marsupio con una borraccia da mezzo litro d’acqua, non più di 2 barrette (che neppure mangio, se ricordo bene), una giacchetta antivento superleggera nella tasca del marsupio e basta. In cima la temperatura è intorno allo zero, qualche pozza è ghiacciata, ma se stai andando forte e sei consapevole del tuo stato di allenamento, è sufficiente indossare l’antivento per qualche minuto in cima, altrimenti puoi restare in maglietta tutto il tempo. Pochi minuti in cima per non raffreddarsi mentre ci si riempiono gli occhi e il cuore, e poi giù, cambiando leggermente l’itinerario rispetto alla salita. Dopo 52′ a casa. Insomma, non sono neppure le 9 e mi tocca preparare la colazione alla famiglia. Quando mi chiedono perché ho cominciato a correre in montagna, di solito dico proprio che mi piace l’idea di arrivare a far colazione a casa avendo già fatto quello che normalmente durerebbe una giornata.
Amici e chilometri. Estate 2014: c’è di nuovo un UTMB che mi attende alla fine di agosto. La giornata è splendida e da Genova arrivano Luca, Nico e Massimo. Partiamo dal Verrand e la prima salita è alla Testa Licony, un allenamento molto saggio a pochi giorni dalla Dolomites Skyrace che Luca dovrà correre pochissimi giorni dopo. Massimo ci attende saggiamente al colle, noi altri 3 arriviamo in cima e la foto che vedete qua sotto è qualcosa a cui sono davvero affezionato.

Continuiamo, scendiamo, risaliamo, Luca e Massimo saggiamente (questa volta per davvero), scendono a valle, mentre io e il fortissimo Nico continuiamo fino al Colle del Malatrà, quasi sulle orme del mio enchainement del 1991. E seguire le orme di Nico non è facile, specialmente quando decide di provare se, a 2700 metri di quota e dopo tutte le salite già fatte, riesce a correre in salita. Mi rifila un po’ di minuti, così, tanto per ingannare il tempo, sale sopra il colle e si va a impelagare in un punto non troppo tranquillo che però mi permette di scattare una delle foto di cui io, totalmente negato per la fotografia, sono più orgoglioso.

The new generation. Arriviamo all’anno scorso. A un amico piacerebbe salire sulla Testa Licony, così non me lo faccio ripetere due volte e ci portiamo anche i rispettivi figli maggiori. Devo dire che sono sempre stato abbastanza bravo a far andare forte in salita le persone che vengono a camminare con me, riesco a impostare il passo giusto per farle andar forte senza stroncarle, così riusciamo ad arrivare in cima in un tempo che il mio amico non si sarebbe mai aspettato. Matteo invece è un atleta e regge qualunque passo.

Adesso devo evitare la trappola del sentimentalismo, però è chiaro che il giorno in cui ho accompagnato per la prima volta il figlio maggiore sul “mio” monte è stato un giorno speciale.
Che cosa mi manca adesso? Sicuramente dormire al Bivacco Pascal, costruito nel 2006 pochi metri sotto la vetta. Svegliarmi per aspettare il sorgere della luce dalla Testa Licony è un sogno che coltivo da trent’anni.

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