Personaggi orrendi. Lady Gaga e i ricatti

In uno dei bar nelle vicinanze della mia scuola c’è un grosso video sintonizzato su un canale o una playlist di video musicali. Nel 99% dei casi si tratta di canzoni orribili riconducibili in gran parte a due filoni, trap e pop latino, che hanno in comune almeno un paio di cose insopportabili per le mie orecchie e i miei occhi: uso perenne di autotune senza nessuna fantasia (per i vecchi: avete presente i Kraftwerk o Neil Young che canta con il vocoder nell’album “Trans”? Ecco, non c’entrano niente) e video in cui l’umanità è fondamentalmente ridotta a due categorie antropologiche: papponi e zoccole.

Un giorno invece c’era un video un po’ più umano, un pezzo pop dignitoso, alla chitarra un uomo decisamente bello non vestito come un pirla e alla voce una che mi sembrava Natalie Imbruglia, cantante con un bel viso che una ventina di anni fa aveva azzeccato un singolo di grande successo in Inghilterra (all’epoca studiavo là) e credo anche nel resto del mondo. Io penso “ma guarda un po’ come è rimasta carina Natalie Imbruglia, non è praticamente sfiorita”. Poi alla fine compare il sottotitolo e capisco che quella era Lady Gaga e che si trattava della colonna sonora di un film che poco tempo dopo sarebbe stata premiata con un Oscar. Avevo in effetti letto distrattamente qualcosa a proposito dell’esistenza di questo film, ma non è questo che mi interessa raccontare.

Io penso: “belin, che bravo il truccatore, è riuscito a rendere carina Lady Gaga”. Poi osservo un’altra cosa: Lady Gaga piange. Sì, Lady Gaga da un po’ di anni piange, non solo nel video con quello che poi ho capito che era Bradley Cooper.

E allora vorrei dire qualcosa sulle lacrime e sulla loro forza ricattatrice, su Lady Gaga e i ricatti.

Non mi interessa infatti parlare di lady Gaga dal punto di vista musicale. A mio parere non vale niente e qui chiuderei il discorso. Non è che sia irritante come un cantante (vabbè, cantante) trap italiano, ma, appunto, potrebbe non esistere, non aver mai composto una canzone e nulla cambierebbe. D’altra parte Lady Gaga conta non per le sue canzoni, ma per i suoi videoclip e i suoi spettacoli. Per quel che riguarda i videoclip, non so quanti ne abbia girati, ma in generale ricordo che c’è lei vestita in modi clamorosi che tromba con dei cadaveri. Scusate la brutalità dell’espressione, cerco di evitare il più possibile le parolacce nel mio blog, ma non ho trovato un’espressione che potesse rendere meglio l’idea. Chi conosce meglio di me i video di Lady Gaga – direi quasi chiunque – potrebbe dirmi che sto semplificando, ma quel che ricordo e quel che mi è arrivato è questo. Non sto a discutere quanto questa estetica possa essere affascinante, interessante eccetera eccetera. Così come non sto a discutere del significato, del fascino, della provocazione eccetera eccetera del presentarsi a una performance con un vestito di carne (per chi non lo sapesse: non con un vestito color carne alla Marilyn Monroe che canta gli auguri di compleanno a JFK; no, proprio con un vestito di bistecche). La sensazione è che dietro a tutti i significati che si vogliono spacciare da parte sua e del suo entourage, o individuare da parte dei suoi spettatori e critici, ci sia semplicemente la necessità di proporre un prodotto forte, sorprendente. E, di nuovo, in fondo non è neppure questo che mi ha spinto a scrivere questo pezzo. Mi irrito quando Lady Gaga vuole nobilitarsi. Allora sale su qualche palco – possibilmente per nobili cause – si mette al pianoforte e si commuove.

Eccoci al doppio ricatto.

Se canti al pianoforte a coda dimostri che sei una musicista e che sei brava a cantare senza trucchi. Quante volte cantanti, magari men che mediocri, hanno cercato di far passare questa idea. Ma non è vero! Anche prendendo un esempio nobile, la serie degli MTV Unplugged degli anni Novanta, non sempre è così. Quello di Bob Dylan è bellissimo, ma già su quello di Eric Clapton si possono aver dubbi: la versione lenta e acustica di Layla è bella, ma quella elettrica è diecimila volte migliore. Tuttavia funziona: Lady Gaga si siede al pianoforte, canta, versa le lacrime e allora è brava e sensibile. Il ricatto delle lacrime funziona. Ancora meglio se è sul palco in occasione di qualche festival in nome delle minoranze.

C’è poi il ricatto della vita difficile. Mi muovo su un terreno scivoloso, perché in realtà io non so niente della sua vita, così come non lo sa il 99,99999% delle persone. Lady Gaga è personaggio anche quando va a controllare la cassetta della posta, e questo vuole essere. La conseguenza è che si può parlare di lei non come di un essere umano, ma come di qualcosa che non ha nulla a che fare con abitudini ed emozioni della vita normale. Se vai dal verduraio (non so se ci vada, è tanto per fare un esempio) e ti vesti con tacchi di 20 cm e parrucca, stai facendo uno show e quindi sei giudicata per quello. Sei la prima a volerlo, quindi diventa difficile capire se ciò che racconti sia vero. Se racconti che sei stata molestata, non lo metto in dubbio, per carità, ma se racconti che hai sofferto tanto per il bullismo e i media riportano addolorati la notizia, mi diverto a fare due conti. E allora se i tuoi compagni cattivissimi crearono il gruppoFacebook “Lady Gaga non diventerà mai famosa” e tu hai sofferto tanto, io penso che Facebook è nato nel 2004 quando avevi 18 anni e che 4 anni dopo tu eri una star famosissima dopo aver sgomitato in tutti i modi per diventare che cosa? Per diventare famosa. Se per pochissimi anni tu investi tutte le tue energie nel diventare la popstar più famosa del mondo e ci riesci pure, fatico a considerare il gruppo Facebook di 4 scemi come una ferita insanabile.

Macchenessò io della sua intimità? Niente, ma è lei che ha cominciato buttando tutto in show.

Infine ci sono le sue lacrime di quando racconta della sua fatica per diventare ciò che è. Cioè famosa. Non è che la sua fatica servisse per diventare la più brava cantante, la più brava astronauta, la più grande scacchista, la più forzuta sollevatrice di pesi. No, il lavoro era diventare famosa. E io la retorica del successo per il successo non la sopporto. Non la sopporto neppure se dietro c’è, come mi è capitato di leggere qualche volta, una indefessa lavoratrice. Spesso lavorare tanto, troppo, non è un merito, ma un’aggravante. Anche Berlusconi è un infaticabile lavoratore.

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