Didattica a distanza. Seconda puntata

  1. In quanto insegnante, posso dire di essere caduto in piedi: continuo a lavorare, a ricevere lo stipendio e, addirittura, mentre molte persone a maggio forse torneranno a lavorare fuori dalle mura domestiche e non sapranno come cavarsela con i figli rimasti a casa, io sarò invece in casa e potrò sovrintendere alle grane di connessione e al pranzo da cucinare.
  2. Premesso questo, non mi sento un privilegiato perché non sono un privilegiato. Ricevo lo stipendio e in cambio lavoro molto più di prima. La didattica a distanza invade la vita con i compiti che arrivano a ogni ora del giorno e della notte e che cerchi di correggere il più tempestivamente possibile per evitare che si accumulino e, soprattutto, per dare agli alunni quella vicinanza e quel riscontro che normalmente avrebbero in classe. Anche se ho la fortuna di insegnare solamente in due classi alle quali faccio videolezione quotidianamente, sento che ogni correzione che faccio ai compiti che mi mandano praticamente tutti i giorni è un piccolo gesto per non farli sentire abbandonati in quel percorso non facile che è l’istruzione (e anche l’educazione, buttiamo lì una parola forse ancora più impegnativa).
  3. Usiamo qualche facile gioco di parole. La didattica a distanza richiede responsabilità, perché noi insegnanti siamo chiamati a rispondere agli alunni in una maniera diversa dal solito. Rispondiamo ai compiti inviando le correzioni, rispondiamo alle e-mail e ai messaggi su Telegram sulle curiosità che siamo riusciti a suscitare a lezione (annotazione tecnica: spero che siano sempre meno i docenti che usano Whatsapp per mantenere i rapporti con la classe, gli alunni e i genitori: Whatsapp non va bene per la didattica!); siamo responsabili se non approfittiamo della situazione per imboscarci, anche perché nei boschi non si può andare, se non sfidando spioni, posti di blocco, elicotteri e droni.
  4. Dicevo che sento ogni correzione che scrivo come un gesto di rispetto e responsabilità nei confronti degli alunni, ma so benissimo che ci sono alunni che probabilmente queste correzioni non sanno neppure che gliele ho scritte: non è che io sia proprio scemo!
  5. Sì, perché mi rendo conto che ci sono alunni che in questa situazione in fondo trovano ciò che normalmente cercano di fare in aula: nascondersi, sparire. E recuperare, tirare dentro questi alunni non è semplice, anche perché non sai bene che cosa stanno vivendo dentro di loro e dentro le loro case: il Covid-19 avrà contagiato anche loro o i familiari? Come staranno i loro nonni? I genitori litigheranno 24 ore al giorno? E come saranno messi a depressione, insonnia, incubi, ansia?
  6. Posso dunque ben dire che io non so bene come funzioni questa storia delle serate a vedere film, degli abbonamenti a Netflix, delle grandi letture? Io sto facendo una gran fatica a fare cose che non c’entrino con la scuola, il mio tempo libero è diminuito drammaticamente. Ma non devo dolermene troppo, in fondo sono tra i lavoratori che stano cadendo in piedi, anche se mi piacerebbe avere un po’ più di tempo per leggere e scrivere per i fatti miei, già che il tempo per andare a correre per sentieri non può esserci.
  7. Ma torniamo alla scuola. Anche coloro che magnificavano le tecnologie informatiche e l’insegnamento a distanza, si sono resi conto che questo modo di insegnare è una pezza, un rimedio a una situazione d’emergenza, un tapullo per usare un efficace termine genovese.
  8. Ma meno male che queste tecnologie ci sono. Non so se abbia senso domandarsi che cosa sarebbe stato della scuola se tutto quel che sta accadendo fosse accaduto 10 anni fa o magari 20, per non dire 30. Forse non si sarebbe potuta ordinare una serrata (non è un termine corretto per tradurre lock-down?), perché l’epoca è diversa, la circolazione delle persone e dei virus è diversa, la volontà di sconfiggere le epidemie e la sensibilità verso la morte sono cambiate e via dicendo cose che richiederebbero approfondimenti che in questo momento non ho voglia di compiere.
  9. Si dice che noi insegnanti abbiamo dovuto reinventarci il lavoro e improvvisare alla bell’e meglio la didattica a distanza. Non è del tutto vero, secondo me. Nella mia scuola, all’inizio dell’anno scolastico, con molti colleghi ho seguito un corso interno all’istituto sull’uso della suite di programmi per l’educazione di Google e la scuola aveva ufficialmente creato un rapporto con Google per istituzionalizzare le classi virtuali con tanto di raccolta di noiosissimi moduli da firmare per i genitori che acconsentivano all’iscrizione dei figli.
  10. Di nuovo, ci sarebbe da aprire una lunga parentesi sul fatto che il Ministero dell’Istruzione di una potenza industriale da 60 milioni di persone non sappia dotarsi di una piattaforma web per l’educazione a distanza e debba appoggiarsi a una società californiana. Certo, è comodo e, soprattutto, la Google Suite for Education funziona bene ed è gratis. Che cosa diamo allora in cambio a Google? Più o meno tutta la nostra vita digitale, che è una fetta non piccola della nostra vita tout court. Non ho però le conoscenze necessarie per proporre delle alternative efficienti a Google e a Microsoft, la cui suite Office 365 Education è la principale alternativa a Google.
  11. Per alternativa efficiente intendo un’alternativa altrettanto facile e veloce, non una cosa per smanettoni. A me i sostenitori del software libero e open source (lo so che non sono sinonimi) sono molto simpatici, ma credo che a volte perdano di vista un fatto: anche chi è sensibile all’argomento non è detto che abbia voglia, e soprattutto tempo, per imparare e restare aggiornato.
  12. Ritornando al punto (9), allora è ingeneroso dire che noi insegnanti ci siamo improvvisati docenti digitali a distanza. Alcuni di noi usavano già certi strumenti o si erano preparati e, all’inizio di marzo, quel poco o tanto che avevamo appreso l’abbiamo messo a frutto, creando anche una bella condivisione di esperienze che va dai consigli di classe virtuali e quotidiani in cui ci si danno consigli e si risolvono questioni tecniche urgenti, alla partecipazioni a webinar in cui si cerca di imparare qualcosa di nuovo e utile.
  13. Negli anni passati mi era capitato di leggere di famiglie che sostenevano i vantaggi dell’home schooling e dell’unschooling, che, tradotti in italiano, possiamo definire “istruzione casalinga” e “ritiro volontario dei propri figli dalla scuola e conseguente sprofondamento nell’ignoranza” (cosa ben diversa da quell’altro drammatico fenomeno della dispersione scolastica). Forse anche i sostenitori in teoria di tali pratiche si saranno resi conto di quanto esse siano mortificanti e abbruttenti per i bambini costretti a crescere in una bolla composta dai familiari e magari – non so se sia un po’ meglio o molto peggio – qualche altra famiglia di disadattati. Nel migliore dei casi, poi, l’home schooling è una pratica classista, riservata a genitori che hanno un’infinità di tempo da dedicare ai figli (e indovinate un po’ di che sesso sarà il genitore destinato all’accudimento), libri in casa, rete selezionata di amicizie. Oggi chi sognava l’home schooling si è reso conto di non essere una nobile dama russa dell’Ottocento con un istitutore che parla francese e insegna Cicerone, Racine e Puškin al proprio rampollo, così come chi magnificava la scuola digitale e la connessione costante degli alunni si è reso conto che reti e dispositivi non sono sempre all’altezza delle aspettative e che, soprattutto, il tempo non è infinito.
  14. In altre parole: il figlio che impara a casa ti porta via del tempo che va moltiplicato per il numero di fratelli e sorelle; ti occupa la cucina all’ora in cui dovresti preparare il pranzo, ti porta via il computer nuovo e ti lascia in mano, se sei fortunato, quello vecchio.
  15. Ancora in altre parole: la didattica digitale invade la tua vita di insegnante a casa (l’ho già detto), ma anche quella degli alunni che si vedono arrivare compiti e notifiche alle ore più strane.
  16. Abbiamo comunque imparato molte cose. Per esempio che i tablet hanno dei grossi limiti, perché se si vuole scrivere bene occorre una tastiera fisica. Quindi, chi non ha un computer, finisce per fare i compiti sul quaderno che poi fotografa con il tablet o addirittura con lo smartphone.
  17. Abbiamo imparato a essere essenziali. Non potendo insegnare attaccati al monitor per lo stesso numero di ore che insegniamo in classe, sfoltiamo il programma di molte cose non dico inutili, ma che difficilmente rimarrebbero agli alunni.
  18. Persino un insegnante di italiano che non necessita di laboratori a volte si scontra con difficoltà quasi insormontabili: come spiegare certi testi senza essere lì vicini agli alunni? Qualche sera fa stavo programmando il lavoro per la mattina dopo e mi son reso conto che non sapevo come spiegare durante una lezione su Meet ai ragazzi di terza media La casa dei doganieri di Montale. È una poesia bellissima, ma terribilmente difficile per dei tredicenni e mi son trovato vicino a rinunciare: “no, non posso spiegare questa poesia stando seduto di fronte al monitor, mica sto facendo una lezione a degli studenti di lettere”. Poi ci ho provato lo stesso, ma non so quanto abbia funzionato.
  19. Nella prima puntata di queste riflessioni sulla didattica a distanza avevo accennato allo spaesamento di alcuni insegnanti di fronte alla notizia della promozione per tutti gli alunni e alla difficoltà di dare voti. A me viene da dire “ma come, per una volta nella vita hai la possibilità di insegnare senza l’ossessione dei voti e delle bocciature e non ne approfitti?” Ho letto anche post di madri che si indignavano della cosa e davano per scontato che i propri figli non avrebbero più studiato niente perché tanto sarebbero stati promossi. Molto meglio sarebbe stato se il ministro non avesse detto niente fino all’inizio di giugno.
    Dunque, state seriamente dicendo che il Ministero, che già non sta brillando quanto a indicazioni e governo della situazione, avrebbe dovuto fingere e ingannare, sì ingannare, famiglie e alunni e insegnanti, per poi dire a giugno “vabbè, abbiamo cambiato idea promuoviamo tutti”.
  20. Ho avuto l’impressione che questa bassa considerazione dei propri figli e questa esaltazione del segreto possano essere dovute a un personale pessimo passato scolastico e a una mentalità complottista.

Venti punti un po’ casuali sono abbastanza, faccio cifra tonda e per ora mi fermo.

Per la puntata precedente leggi qui

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7 pensieri riguardo “Didattica a distanza. Seconda puntata

  1. Ottime riflessioni. Però l’Home schooling andrebbe visto in modo diverso. Cerco di spiegarmi: ragazzini con bisogni educativi individuali forse imparano di piùdai genitori che non da altre figure di riferimento, in alcune fasi della vita. Ufficialmente è comodo creare delele tichette, ma non tutti i bisogni educativi possono essere diagnosticati e spiegati. Alcuni hanno proprio bisogno di tempi propri che non sempre la scuola può concedere.

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    1. Può essere, però mi chiedo se in fondo non sarebbe una sconfitta della scuola che scaricherebbe un peso gravoso alla famiglia. Certamente ci sono situazioni estremamente difficili e complicate in cui, di sicuro, un bambino o un ragazzo non riescono a reggere il carico orario della scuola, ma questo credo che sia un altro discorso.

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    1. Nel senso che alcuni bambini con fragilità emotive potrebbero avere nel genitore una figura di riferimento per le attività cognitive più efficace di un estraneo, o di chi da loro viene visto come estraneo. Non per tutta la vita, ma per alcuni periodi. E potrebbero partecipare ad attività scolastiche con inserimento graduale, progressivamente crescente. E’ solo un’ipotesi di lavoro relativa alla tempistica.

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