Didattica a distanza: ultima puntata?

Il bue disse cornuto all’asino. Così, con i botta e risposta tra Azzolina e Salvini che discutono sul plexiglas o plexiglass – e la figura migliore riesce a farla addirittura Salvini -, sembra chiudersi la discussione sulla riapertura delle scuole con le classi trasformate in un labirinto di plexiglas.
Cinicamente potrei dire che è un peccato, perché con i colleghi avremmo potuto cominciare a scommettere su quali alunni avrebbero sbattuto per primi nelle barriere trasparenti. Inoltre, non posso più esprimere considerazioni amare quali “con i soldi del plexiglas si potrebbero pagare montagne di ore di corsi di recupero”, oppure “certo, le forniture di plexiglas sono un grande affare per chi si beccherà l’appalto”.
Dunque niente plexiglas, per ora, con la ministra che sostiene di non avere mai ipotizzato di inscatolare gli alunni e di essere stata vittima di cattiva informazione. Ammesso che sul modo di gonfiare e alterare le notizie da parte dei giornalisti c’è sicuramente molto da ridire, bisogna dire che Azzolina, oltre ad essere stata ripetutamente incauta in questi mesi nelle poche volte in cui si è fatta sentire, è pure lenta di riflessi, perché se il plexiglas è stato nominato da lei giovedì in una videoconferenza, accorgersi solo al lunedì sera che tutto il mondo della scuola italiana ne parla è piuttosto strano. Ma l’abitudine di negare l’evidenza non è un’esclusiva della sua parte politica. Dicevo: niente plexiglas. Quindi soldi risparmiati che si possono evitare di spendere per rimpolpare il personale della scuola e attrezzare meglio aule e palestre. Passiamo ad altre questioni.

Considerazione per ottenere facili applausi. Forse gli asini non volano, ma gli asini non rinunciano mai a far volare Alitalia. Qualche altro miliardino pare che sarà tirato fuori per tenere in vita una compagnia aerea che, verosimilmente, tra 5 anni sarà di nuovo da salvare. Di solito 2+2 fa quattro e in questo caso è evidente che il salvataggio di Alitalia è prioritario rispetto agli investimenti nella scuola italiana. Sempre per la serie 2+2 fa quattro, che cosa ha detto il Presidente del Consiglio durante i suoi discorsi alla patria in questi mesi? Di certo pochissime parole sulla scuola. Il paese ne prende atto, ma non ho idea se ne trarrà delle conseguenze.

Altra considerazione da facili applausi. La domanda sul perché tante – quasi tutte – le attività abbiano potuto riprendere, ma la scuola no, esige una risposta complessa, non c’è dubbio. Una considerazione che è stata fatta è che comunque con la chiusura della scuola nessuno ha perso lo stipendio, perciò non è sembrato così urgente occuparsi della scuola (non è vero, perché i tanti OSE che vi lavorano nel frattempo hanno perso lo stipendio e andate a parlare anche con chi ha una cartoleria di fronte alle scuole). È un’osservazione estremamente sgradevole sotto ogni punto di vista, ma è difficile negare che contenga un fondo di verità. Contestualmente è stato osservato che trascurando l’istruzione l’Italia si scava una fossa con le sue mani o taglia il ramo su cui è seduta.

Conseguente considerazione terroristica. Non mi cimento in alate considerazioni sull’Italia incapace di investire sul futuro, sulla scuola che è il nostro futuro in una società e in un’economia della conoscenza: no, io parlerei invece di una classe politica che non è in grado di gestire un futuro talmente immediato che è praticamente un presente. Iniziare la scuola a settembre a distanza, oppure in classe ma con mascherine, innescherebbe rivolte sociali sacrosante e una serie di comportamenti antisociali che sarebbe ben difficile stigmatizzare come reazioni spropositate e inaccettabili. Io credo che si stia giocando con il fuoco. E penso anche che lo stiano facendo i sindacati il cui comportamento è guidato soprattutto dalla paura. Per esempio, l’idea che l’esame orale di maturità in presenza sia un pericolo è davvero insostenibile: saranno populisti coloro che dicono “perché un cassiere può avere continui contatti con i clienti che gli passano davanti e che prendono il resto dalle sue mani, mentre una commissione d’esame e un paio di alunni non possono restare a debita distanza in una grande aula?”, sarà una domanda populista – dicevo -, ma provate a dare una risposta sensata.
Sì può obiettare che la classe docente italiana è composta da una percentuale elevatissima di insegnanti che si trovano in una fascia di età altamente a rischio, ma si può rispondere che lo stesso discorso vale per altri lavori.
Teniamo conto anche di questo: le scuole sono state giustamente chiuse in un momento in cui per frenare il contagio era necessario impedire i contatti sociali, ma adesso la situazione è oggettivamente diversa e tutte le misure precauzionali andrebbero a beneficio fondamentalmente degli adulti, siano essi gli insegnanti o i familiari, soprattutto anziani. Bene, la solidarietà è importante, ma non è che i giovani abbiano già pagato troppo? Tornando a fare la Cassandra, una ripartenza della scuola all’insegna dell’emergenza e dell’abuso del principio di precauzione scatenerebbe un’ondata di occupazioni delle scuole, scioperi delle mascherine da parte degli alunni, inviti a toglierla da parte degli insegnanti, conflitti duri tra studenti, insegnanti e famiglie. E sarebbe non solo inevitabile, ma perfino giusto.

Non è un piccolo sacrificio. A quelli che dicono – ci sono e non pochi – che indossare la mascherina non è chissà quale sacrificio e che i medici lavorano per ore e ore di seguito indossandola, rispondo che invece indossarla è un sacrificio. Quando entro in un negozio lo faccio e sono convinto che sia per il momento ancora giusto farlo, ma quando a Genova l’ordinanza del sindaco impone di indossarla sempre (dico sempre) per strada, a meno che non si stia facendo attività sportiva, provo un enorme fastidio e la sensazione di subire un sopruso, perché è del tutto inutile per la mia ed altrui salute che io la usi. Non mi si venga a dire che però si può togliere, che “però il buon senso dei vigili” e altre cose del genere, perché la mancanza di buon senso da parte delle forze dell’ordine a me è costata 280 euro. Quanto ai medici, è fuori luogo rispondere che loro sono pagati? Fa parte del loro lavoro, come fa parte del lavoro di un operaio dell’Anas stendere l’asfalto bollente in autostrada mentre le auto lo sfiorano a 100 all’ora.

Che fare? Per non essere buono solo a criticare, mi tocca fare qualche modesta proposta. Il punto di partenza è che i soldi investiti nella scuola saranno pochi e che non ho nessuna speranza che si decida di utilizzare per la scuola i non pochi denari che l’Italia si troverà a disposizione. È inutile progettare, o diciamo pure fantasticare, su un vero piano di edilizia scolastica, su aule più grandi, su classi che davvero non superino i venti alunni: occorrono idee a costo quasi zero realizzabili entro settembre, perciò:

  • Istruzione dei bidelli su un rigido protocollo di procedure igieniche. L’estate è il periodo in cui i bidelli e bidelle possono riordinare molte cose a scuola, ma non nascondiamoci che è anche il periodo in cui alcuni e alcune di loro si recano al lavoro a trascorrere mattinate oziose. Si utilizzino alcune di queste mattine per insegnare che cosa bisognerà fare a settembre per mantenere la scuola in condizioni igieniche decorose.
  • Acquisto di aspirapolveri. Non c’entrerà con il coronavirus, ma ci sono molti alunni e insegnanti per i quali la frequentazione della scuola significa allergie per la polvere di gesso e la polvere. Le scope non bastano, occorrono aspirapolveri, visto che si dice tanto che la salute viene prima di tutto.
  • Obbligo per gli insegnanti di arrivare a scuola in anticipo per la misurazione della temperatura. È impensabile che si misuri la febbre a tutti gli alunni, oppure che li si costringa a passare sotto fantascientifici termoscanner, ma non è improponibile che gli insegnanti della prima ora arrivino in anticipo affinché possano misurare la temperatura e andarsene a casa se hanno la febbre. Il senso del dovere spinge molte persone ad andare al lavoro anche se hanno la febbre alta, ma forse è necessario rivedere la scala delle priorità e capire che ogni anno le epidemie di influenza si diffondono anche perché non si resta a casa in attesa di guarigione.
  • Allungamento della ricreazione con obbligo di lavarsi le mani prima di mangiare. Se tutti devono lavarsi le mani, i tempi della ricreazione si allungano e le classi devono andare in bagno una alla volta. Nella mia scuola, a causa della scarsità di gabinetti e lavandini, succede già che si vada in bagno classe per classe, ma forse questo dovrebbe avvenire ovunque per permettere che tutti si lavino le mani.
  • Pulizia della cattedra nel corso della mattinata. Noi insegnanti parliamo più di tutti e quindi sputacchiamo più di tutti. Alcuni di noi si muovono molto per l’aula e sputacchiano dappertutto, ma la cattedra è sicuramente il luogo che più rischiamo di contaminare.
  • Niente mascherine in classe. Già la scuola per molti è una tortura, figuriamoci con le mascherine! I professori che temono maggiormente di essere contaminati da quegli untori degli alunni, possono tranquillamente interrogarli da posto, non è così necessario far venire gli alunni alla cattedra. E se gli alunni devono essere interrogati alla lavagna, i professori si manterranno distanti.

Non ho detto niente che riguardi in senso stretto la didattica, ma posso dire che le varie proposte sulla scuola nei musei, nei parchi e via dicendo, si scontrano con la mia realtà genovese fatta di diluvi autunnali, di autobus e metropolitane con cui spostarsi e sulle quali incontrare persone ammassate, di verde pubblico inesistente in molti quartieri, perciò non mi sembra neppure serio prendere in considerazione il discorso.

La didattica a distanza alcune cose, anzi molte, però le ha insegnate. Per esempio che le chiusure eccezionali della scuola non sono più ineluttabili. Ieri ho letto un articolo in cui si prevedeva che in alcune regioni, per via delle elezioni regionali con votazione protratta al lunedì e probabile secondo turno, le scuole sarebbero iniziate realmente solo ad ottobre. Ma adesso sappiamo che in quei giorni si può insegnare, perciò non insegneranno i docenti eventualmente impegnati come scrutatori, o quelli che faranno ritorno al proprio comune per votare, ma gli altri potranno farlo come hanno imparato in questi mesi. Di nuovo, da insegnante genovese che ogni anno discute sui giorni minimi di insegnamento da raggiungere per la minaccia dalle continue allerte meteorologiche, sono favorevolissimo all’uso della didattica a distanza nei giorni di chiusura forzata. Questo permetterebbe anche una gestione molto più semplice del calendario scolastico, con la possibilità di aggiungere qualche giorno di riposo tra febbraio e marzo, oppure nei giorni delle vacanze di Pasqua.

La fine più triste. Stamattina ho concluso le lezioni nelle mie due classi e tutto sommato siamo riusciti a terminarle in maniera decentemente allegra, così come è stata bella l’ultima lezione della figlia minore che ha concluso le elementari. Credo che siano state un po’ più asettiche le lezioni finali degli altri due figli. Tuttavia la conclusione del primo ciclo scolastico della figlia più giovane temo che rimarrà legata a un episodio della settimana scorsa, quando alle 8,15, di corsa per riuscire ad essere a casa per iniziare la mia lezione alle 8,30, sono andato sotto la pioggia a ritirare il materiale lasciato a febbraio in aula da mia figlia. Tanti sacchetti gialli consegnati dall’ingresso laterale della scuola ai genitori. “Il pacchetto del morto”, è quel che mi è venuto da pensare e che, a distanza di giorni, non riesco a togliermi dalla testa.

L’Italia è Roma e Milano. Per chiudere, un’ultima amenità. L’altro ieri i giornali radio e i telegiornali hanno ripetutamente annunciato che la scuola è finita, generando po’ di confusione nella testa di molti che pensavano che non lo fosse. Se però la scuola finisce in Lombardia e nel Lazio, tanto basta alle redazioni, che non si curano del fatto che in qualche regione si erano già terminate le lezioni, in altre come la Liguria sarebbero continuate fino a oggi, se non fino al 12 come in Valle d’Aosta. Per lo meno si sono ricordati della scuola più di quanto abbia fatto il governo italiano.

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5 pensieri riguardo “Didattica a distanza: ultima puntata?

  1. Questa volta ho apprezzato particolarmente la proposta (oltre alla protesta). E mi è piaciuta l’onestà intellettuale con cui hai parlato della nostra categoria, senza indulgere nel fronzolo di circostanza.

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  2. L’idea iniziale era fare la didattica metà in presenza e metà online. Tuttavia, si tratta di un progetto inapplicabile: infatti per impostare la didattica in questo modo bisognerebbe che metà classe seguisse il professore dal vivo e l’altra metà in diretta streaming, ma il sistema informatico di una scuola non può “reggere” decine di dirette streaming in contemporanea. Di conseguenza, questa proposta è caduta nel vuoto.
    A quel punto si è passati all’ipotesi di far venire tutti a scuola mantenendo una distanza di sicurezza tra un alunno e l’altro, ma è stata scartata anche questa: infatti per fare questo bisognerebbe stabilire un tetto massimo di 15 alunni per classe, ed è una soluzione improponibile per 2 motivi:
    – Bisognerebbe creare da zero moltissime nuove classi, alle quali andrebbero garantiti moltissimi nuovi docenti: evidentemente lo stato non ha voglia di fare quest’investimento così oneroso.
    – Molte scuole non saprebbero dove ficcare queste nuove classi. L’unica sarebbe dotarsi di una seconda succursale, ma non è una cosa che si trova dalla sera alla mattina.
    Alla luce di questo, la Azzolina è stata costretta a trovare una terza soluzione, che è quella del plexiglass. Tuttavia, anche se questa soluzione si rivelasse efficace, i problemi non sarebbero finiti: infatti, anche se si riuscisse a mettere in sicurezza le aule, si creerebbero comunque degli assembramenti nei corridoi, nei bagni e davanti al cancello d’entrata.
    Questo problema si porrebbe anche facendo gli ingressi scaglionati (altra ipotesi molto in voga). Ad esempio, poniamo che gli studenti vengano divisi in 5 gruppi: uno entra alle 8, uno alle 9, uno alle 10, uno alle 11 e l’ultimo a mezzogiorno. Se gli studenti di una scuola sono mille, ad ogni ora si presenteranno davanti al cancello in 200, e quindi l’assembramento si creerebbe comunque.
    Insomma, la mia convinzione è che mettere in sicurezza le aule sia possibile solo stabilendo un tetto massimo di 15 alunni, ed è una soluzione troppo onerosa; mettere in sicurezza l’intera scuola invece è semplicemente impossibile. Speriamo che al ministero non se ne accorgano all’ultimo minuto, costringendo noi che lavoriamo nella scuola ad inventarci qualcosa da soli (come è avvenuto nel caso della didattica a distanza).

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