Finora ho girato intorno all’argomento, ma adesso sono passate tre settimane abbondanti dalla mia ripresa degli allenamenti, quindi qualcosa devo dirlo su quel che ho fatto e su quel che ho intenzione di fare.
Naturalmente a proposito di quel che ho fatto non è sufficiente dire che basta guardare Strava, perché ciò che più conta è il principio che ha guidato i miei allenamenti e, ovviamente, quello che guiderà i prossimi mesi.
Rubo il testo di un messaggio che mi ha inviato un amico perché mi permette di rispondere ad alcune domande di base.
Scontata la conoscenza della montagna (se no si è pazzi a iscriversi), come ci si prepara?
Il mio amico Andrea
Lunghi frequenti e ravvicinati, ultra lunghi, lunghi con mega dislivelli , altro?
Conoscenza della montagna. La si può intendere in generale come conoscenza di che cosa è la montagna e di come ci si sta di notte quando si è stanchissimi, ma anche come conoscenza di specifici luoghi.
Come molti miei amici sanno, per certi aspetti io sono un fifone, nel senso che ho paura del vuoto. Il poco alpinismo serio, intendendo con “serio” un tipo di alpinismo che vada oltre le salite facili sui Quattromila, son riuscito a farlo solo su itinerari nei quali mi sentivo al sicuro grazie a una padronanza tecnica ampiamente al di sopra delle difficoltà che affrontavo. Comunque il Tor non è una gara con difficoltà alpinistiche, quindi da questo punto di vista sono abbastanza tranquillo perché sul terreno non alpinistico non ho paura. Anzi, le pietraie, che magari molte persone non amano o temono, a me piacciono, mi ci trovo a mio agio, così come amo gli sfasciumi.
Quanto alla conoscenza dell’itinerario, conosco molto meglio la prima parte, mentre molti chilometri del percorso è probabile che li affronterò per la prima volta in gara, con la conoscenza che ne potrò avere dalle relazioni, dai racconti altrui e, soprattutto dallo studio delle cartine e del profilo altimetrico. Conosco comunque i tre punti in un certo senso più temibili.
Il primo è la discesa dal Col de la Crosatie: nulla di terribile, però è il luogo in cui nel 2013 morì il cinese Yang Yuan: una tragedia che sarebbe potuta accadere in molte altre discese, ma so che quando ci passerò in gara un po’ di angoscia la proverò. Spero anche di aver la lucidità di mente e di cuore per dedicare una preghiera a Yang Yuan.
Il secondo luogo è il punto più alto del Tor, cioè il Col Lauson (o Lauzon o Loson), 3296 m., dove è possibile che potrei passare di notte, se andassi a un ottimo ritmo. Nella discesa dal Colle, sul versante della Val di Cogne, il sentiero è in qualche punto un po’ esposto, ma la cosa non mi preoccupa troppo. Certo che se nevicasse occorrerebbe andare molto cauti, ma con bastoncini e ramponcini si può essere discretamente tranquilli.
Il terzo luogo è quello che temo più di tutti, il Colle del Malatrà. Ci sono stato molte volte, anche se non mi sono mai spinto sul versante opposto alla Val Ferret, quindi dovrei avere la sicurezza che deriva dalla buona conoscenza del luogo, tuttavia, ogni volta che penso al Tor e a perché lo temo, penso a come possa essere trovarsi ai 2928 metri del Col del Malatrà, quindi in cima all’ultima salita, magari di notte mentre nevica e con la resistenza al freddo che (non) si ha quando ormai si è stravolti dai chilometri e dalla mancanza di sonno. Intorno all’eventualità per nulla improbabile di trovarmi in una situazione del genere, ruotano la mia preparazione fisica, mentale, strategica e la scelta del materiale per la gara.
Il monumento in ricordo di Yang Yuan scendendo dal Col de la Crosatie Col Lauson La discesa verso il rifugio Sella dal Col Lauson Colle del Malatrà
Che cosa ho fatto. Non ho fatto una gran quantità di allenamento in queste settimane e non solo per un’organizzazione degli orari non del tutto efficiente, oltre che per aver ricevuto la prima dose del vaccino antiCovid sei giorni fa. Ritengo infatti che in queste settimane sarebbe stato poco utile infilare un allenamento sfiancante che mi richiedesse dei giorni per un recupero adeguato. Nel concreto, questo significa che ho superato le due ore solamente due volte e sempre su sentiero, non su strada, dove due ore per me sono davvero impegnative a causa del ritmo sostenuto che mi viene spontaneo mantenere sull’asfalto.
L’aspetto più interessante a mio avviso è che ho corso più volte su sentiero con il buio. Di nuovo, non è capitato solamente perché non ero riuscito ad allenarmi durante le ore di luce, ma per una scelta precisa. Durante il Tor passerò moltissimo tempo da solo e, se corro in città, l’unico modo per creare una situazione che in qualche modo richiede più concentrazione è quello di mettersi in difficoltà, prima di tutto cercando di essere soli. Di notte, su sentiero, possibilmente senza telefono e magari spingendo per un paio di minuti su qualche discesa ripida, ci si mette in una situazione in cui è vietato sbagliare. Non è un discorso saggio e prudente, lo so, perciò non consiglio di imitarmi nel buttarsi forte in discesa alla luce della lampada frontale, tuttavia questo è ciò che ritengo efficace per me.
Il Levante genovese dal Forte Sperone Dal Forte Sperone guardando verso ovest
Riassumendo, ho quindi corso quasi sempre su sentiero, privilegiando il dislivello rispetto ai chilometri
Come continuerò. In linea di massima tenderò a privilegiare i forti dislivelli rispetto ai grandi chilometraggi, perché il Tor è comunque una gara in cui non solo si sale e si scende, ma è una gara in cui le salite e le discese sono molto lunghe. Da questo punto di vista la preparazione della Monterosa Sky Marathon che correrò a giugno a mio avviso si adatta perfettamente alla preparazione per il Tor, perché preparare una gara che consiste in 3500 metri di salita seguiti dagli stessi 3500 metri in discesa, il tutto in soli 35 chilometri, permette di mettere su molta gamba e molto fiato.
Un aspetto sul quale faticherò a lavorare saranno probabilmente i lunghi e lunghissimi a bassa intensità, perché ho sempre avuto l’abitudine di correre i lunghi in montagna a un ritmo elevato. Invece, quest’estate, ma anche questa primavera, dovrò cercare di compiere allenamenti di parecchie ore a bassa velocità.
Infine l’asfalto. Non sono un corridore veloce in pianura e divento un po’ meno lento solo a costo di molto allenamento. Quindi un po’ di asfalto serio e senza salite e discese ripide mi toccherà affrontarlo, se voglio migliorare come corridore.
Per ora mi fermo, ma seguiranno sicuramente molti altri dettagli e aggiustamenti di tiro.
Puntate precedenti:
1. Verso il Tor des Géants (1). Preso!
2. Verso il Tor des Géants (2). Sogni mostruosamente proibiti
3. Verso il Tor des Géants (3). Un abbozzo di programmazione
7 pensieri riguardo “Verso il Tor des Géants (4). Adesso parlo davvero di allenamento.”