Non è che quelle percorse in questi mesi non fossero vere salite, sono state ripide e mi hanno fatto faticare, ma mancavano ancora le salite lunghe, quelle che servono davvero per prepararsi al Monte Rosa e al Tor.
Reixa. Il 19 maggio allora vado a scuola bello eccitato perché penso che, terminata la mattinata, prenderò il treno per Voltri e mi regalerò qualche ora sulle Alpi Genovesi, quel bellissimo crinale che dal passo del Faiallo arriva a Prariondo. Sceso dal treno e preso al volo il bus numero 1 che fa capolinea in corrispondenza del punto più a nord del Mar Tirreno, cerco il varco meno pericoloso tra svincoli e viadotti sul Leira e parto. L’idea è quella di salire sul Reixa, di proseguire fino a Prariondo, scendere al Deserto di Varazze e raggiungere casa degli amici Fabio e Maria per un caffè. Ci sarebbe anche da tentare un buon tempo nella salita da Sambuco al Reixa, la più lunga della 7 Summits Vertical. Challenge, ma, visto che la affronterò dopo 7 km e quasi 400 m di dislivello su asfalto, non ho particolari ambizioni; in più, nel primo pomeriggio su asfalto e quasi sempre senza ombra, fa caldo e bisogna dosare le forze. Saggiamente parto con una sola borraccetta, ovviamente vuota, perché leggeri si corre meglio. Arrivato a Sambuco, non mi fermo (non vedo neppure una fontana, quindi non ho neppure la tentazione di correggere la mia tattica scriteriata) e imbocco il sentiero. Come è normale, mi sembra di sbagliare subito strada e chiedo informazioni a due diverse persone del luogo, che, come è ancora più normale, mi danno due indicazioni differenti. Ad ogni modo imbocco il sentiero giusto e dopo alcuni minuti ad un bivio in realtà non molto ingannevole, vado sulla destra invece che sulla sinistra. Marcia indietro e qualche altro minuto perso: pazienza, non stamperò un gran tempo, ma tanto io non sono un verticalista in salita e sto pur sempre preparandomi per una gara di 330 km, mica per una di 4. La prima parte di salita è ripida e, soprattutto molto ligure, con un sentiero stretto e un po’ malagevole. In altre parole, per usare un tecnicismo, si va per bricchi. Intorno ai 900 metri di quota, il sentiero spiana e si continua lungo un traverso molto meno ripido e, soprattutto, ci si trova in quell’ambiente che mi fa parlare di Alpi Genovesi, con quelle rocce con quei licheni che ti fanno sembrare così strano di essere semplicemente nel punto più alto del comune di Genova.
La vetta del Reixa Rocce e licheni e lì sotto il porto di Voltri, la pista dell’aeroporto e il porto di Genova Girandosi, il Beigua con le sue antenne
Continuo per il bellissimo lungo crinale verso ovest, sempre tra cielo e mare, cominciando a sentire la fatica e la sete, che placo poco prima di Prariondo, dove sapevo che c’è una fontana che, viste le recenti piogge, non dovrebbe essere asciutta. In effetti l’acqua c’è e mi concedo una bevuta e pure qualcosa da mangiare.
Le nuvole vengono bene in foto Erba filiforme e spazzata dal vento che, di nuovo, fa pensare alle Alpi
Non mi fermo e comincio a scendere, sapendo che non andrò come un razzo, vista la fatica. Infatti a un certo punto faccio una movimento di emergenza per evitare di cadere e mi viene un bel crampo, che mi costringe anche a fermarmi qualche decina di secondi per stirare un po’ il muscolo. Comunque arrivo al Deserto di Varazze e da Strava scoprirò di aver stabilito il miglior tempo registrato nella discesa. Quando, quest’estate, tornerò sul sentiero, conto di abbassare il tempo di un altro bel po’ di minuti. Sugli ultimi due km scarsi di asfalto per arrivare a casa di Fabio e Maria, sono un po’ stanco e ogni tanto cammino invece di correre.

Dopo 28 km e tre ore e tre quarti, qualche bicchiere d’acqua, un po’ di chiacchiere e un caffè, Fabio si offre per accompagnarmi giù a Varazze. Accetto volentieri e, visto che c’è tempo, ci concediamo un aperitivo (io opto per l’analcolico) dal Blackstone Cafe, al quale mi va di fare pubblicità, non solo per amicizia, ma perché vi si mangia e beve bene.
Fasce. Montagna ancora più cittadina e tipico luogo per allenamenti in salita, domenica 22 decido di salirla da San Desiderio per un sentiero che non ho mai percorso, per poi scendere lungo il percorso della 7 Summits Vertical Challenge e con una mezza idea di risalire in vetta per poi scendere secondo quel che detteranno l’ispirazione del momento e la prossimità del buio. Parto abbastanza tardi e sento che in salita, anche nei tratti ripidi, corro con una certa facilità, sia pure senza mai premere sull’acceleratore. Un po’ prima della Trattoria del Liberale, incrocio il sentiero che arriva da Apparizione, mi regalo un quasi-fuorisentiero da cinghiali (e infatti incrocio un paio di cinghialetti striati) e poi continuo, seguendo in base alla memoria il percorso della storica gara Villa Gentile-Monte Fasce. Nell’ultimo tratto non seguo il percorso più diretto, ma imbocco un sentiero – credo piuttosto recente – da downhill per le mountain bike. Si va avanti e indietro su una pendenza lieve, a parte i tornanti belli ripidi. In cima riparto subito e cerco di scendere il più velocemente possibile, anche perché ho delle scarpe nuove da mettere alla prova sul mio terreno d’elezione. Senza rompermi l’osso del collo arrivo al porticciolo di Nervi e decido che sarà meglio tornare a casa per cena, ma mi concedo anche un pezzo di focaccia e una coca cola prima di salire sull’autobus. Ah, visto che in salita non son capace di farlo, sulla discesa dalla vetta a Nervi, registro il miglior tempo, ma ho già in mente di migliorarlo.
Quart Trail des Alpages. Il compagno di Monte Rosa Skymarathon una ventina di giorni fa mi propone una gara in Val d’Aosta, in una zona che conosco poco. C’è la possibilità di scegliere tra il percorso da 26 km e quello da 50 km e ben 4000 metri di dislivello (il gps ne registrerà un po’ meno, ma non sono del tutto convinto). Optiamo per la lunga, visto che tre settimane dopo ci aspetteranno i 3000 e passa metri senza tregua da Alagna alla Capanna Margherita.
Ieri mattina appuntamento da clandestini alle ore 1:45! Andrea arriva a prendermi, insieme a Monica, che quest’anno ha già messo in saccoccia almeno un paio di gare belle lunghe. Anche Andrea ha già gareggiato due volte a maggio, mentre io non gareggio da una vita, in pratica da due anni, a meno che non conti un ritiro dopo 8 km per dolori alle ginocchia in una gara a inizio febbraio del 2020.
In autostrada, subito dopo Ovada, in uno degli innumerevoli cambi di carreggiata ai quali si è costretti dai tanti cantieri, sentiamo una botta forte sotto l’auto. Per fortuna Andrea stava andando piano, ma nel giro di pochi secondi capiamo che almeno una gomma è bucata. Rientrati sulla carreggiata normale, c’è subito una piazzola dove sono parcheggiati alcuni camion. Andrea, con il fondamentale contributo alle lampade mio e di Monica, si mette a cambiare la ruota, attività in cui ha una certa esperienza grazie ai viaggi giovanili sull’auto scassata di un compagno di scalate. Per fortuna non manca nessun attrezzo e non siamo costretti a chiedere soccorso ai camionisti, che probabilmente non avrebbero gradito molto di essere svegliati. Proseguire fino alla Val d’Aosta con il ruotino non sarà il massimo, ma a quest’ora non esistono alternative. La prudente sveglia mattutina ci permette di arrivare con sufficiente anticipo al Castello di Quart e di essere accolti dalla luna che spunta dietro alla Becca di Nona.

Il luogo della partenza all’interno del Castello è molto bello e, poco prima del briefing, mi godo ancora la vista della Valle
Partiamo con l’obbligo, per i primi 500 metri, di tenere la mascherina, poi la tolgo e abbasso pure i manicotti, visto che la temperatura è mite e si prevede una giornata calda. Mi sembra di salire abbastanza agevolmente e, in vista della gara che io e Andrea avremo tra due settimane, decido di non risparmiarmi troppo. Si sale dapprima su sentiero, poi su delle poderali molto belle e corribili. Quando il sentiero si rifà ripido, continuo ad andare piuttosto bene e, al primo ristoro, già con oltre mille metri di salita nelle gambe, mi concedo alcuni pezzi di crostata, peraltro buona, non roba industriale, un bicchiere di coca cola e uno di brodo (tutto nello stesso bicchiere, senza sciacquare tra il dolce e il salto). Monica, con la quale ci siamo più volte superati, riparte subito, mentre Andrea mi raggiunge, poco prima che io riparta e, pure lui, non si attarda come me. Si riparte in leggera discesa e mi rendo conto che la pancia non è nelle migliori condizioni, in altre parole mi ci vorrebbe un passaggio in bagno per non patire il rimescolio che non permette di correre al meglio in discesa. Risalendo, il panorama si fa sempre più bello e poi comincia una discesa davvero ripida che non riesco a godermi pienamente non solo per i problemi intestinali (faccio pure una sosta poco produttiva), ma per le gambe che cominciano ad essere colpite dai crampi. Neppure 20 km e già i crampi! Veloce ristoro in fondo alla discesa e dai 1400 metri ai quali siamo ridiscesi si ricomincia a salire. Capisco che la giornata sarà parecchio dura. Andrea e Monica dopo un po’ mi raggiungono insieme a un concorrente di 65 anni anni in forma strepitosa, poi decido di lasciarli andare, perché sono in difficoltà. Comincia un calvario di soste continue e crampi non appena accelero di un niente. Sperimento però anche qualcosa che non provavo da tempo, cioè lo spirito di solidarietà in gara. Ogni persona che mi supera, non solo chi mi vede fermo, ma anche chi si accorge semplicemente che sono troppo lento rispetto alla posizione, mi chiede se sto bene e se ho bisogno di aiuto, uno mi offre dei sali e un gel. Accetto e mi godo un lampo di normalità. Bevo, senza attaccarmi, è ovvio, dalla bottiglia di un altro – “è pulita, tranquillo”, mi dice – e in un’epoca di mascherine e diffidenza questo mi sembra un miracolo. In qualche modo arrivo ai quasi 2200 metri del ristoro successivo, dal quale dovrò ripassare dopo un anello di due salite e discese. Nel momento in cui arrivo io, passa, con 11 km di vantaggio, Franco Collè. È impressionante come va, si prende una bottiglia, se la versa addosso e riparte. Vittoria in tasca per lui. Io, invece, dopo soli 25 km fatti e altri 25 da fare, ho crampi dappertutto, persino alla mano sinistra, lo giuro! Medito a lungo se ripartire e nel frattempo bevo bicchieri di sali minerali e brodo e mangio un paio di pezzi di Toblerone – quando mai si è visto una gara con il Toblerone ai ristori! Vedo passare, dopo Collè, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto; vedo arrivare tanti che mi raggiungono, mangiano e ripartono, chiacchiero, e quanto è bello chiacchierare serenamente senza maschere, mi diverto a vedere all’opera le volontarie, che avranno all’incirca l’età di mio figlio e mi mettono una grande allegria e alla fine decido di ripartire. So che al Tor des Géants i momenti di grande crisi non mancheranno e allora oggi sarà un allenamento per superare le crisi, sempre che i crampi non mi assalgano con la stessa ferocia di prima.
Sembra che le cose vadano bene, non soffro troppo e il passo è dignitoso. Soprattutto, è meravigliosa la fioritura. Cominciano anche i nevai, cosa che non mi dispiace, nonostante la neve sia molla e il suo freddo non sia il massimo sulle gambe nude. Il passo continua ad essere discreto e a fine gara mi renderò conto che, se non sbaglio, da metà gara in poi non mi ha superato nessuno. Dopo una prima salita e conseguente discesa, inizia la risalita, si passa dall’alpeggio di Fontin, che forse ha dato il nome al formaggio valdostano e la salita continua ripida con circa 600 metri di salita praticamente fuori sentiero. Ci son delle tracce, ma non credo che il sentiero sia molto frequentato. Chi è minimamente pratico di montagna sa bene che, a parità di pendenza, camminare fuori sentiero è molto più faticoso. Finalmente in cima alla penultima salita e senza velleità né cronometriche, né, tantomeno, di classifica faccio una cosa che in gara non faccio mai: scatto alcune foto!
La discesa è di nuovo ripida, ma sono nel mio, quindi, nonostante il male alle gambe e i crampi che colpiscono ad ogni movimento impreciso, riesco a scendere con una certa disinvoltura tra fuori-sentiero erbosi e nevai. Al passaggio al ristoro in cui 11 km prima avevo deciso di continuare la gara me la prendo di nuovo comoda e poi riparto, imboccando dopo alcuni minuti l’ultima salita. Comincio a fare il conto alla rovescia dei km che mancano e finalmente arrivo al punto in cui capisco che sì, le salite sono terminate. Il primo tratto di discesa è ripido, faccio quel che posso date le condizioni delle mie gambe (e della mano sinistra, mica è passato del tutto il torpore alla mano che compie l’immane sforzo di impugnare un bastoncino) e, cosa di nuovo pazzesca, mi fermo in discesa a fotografare le genziane.
Finito il sentiero, comincia la poderale. Dai km che mancano e dall’altitudine a cui mi trovo capisco che se vado lento non arriverò mai più. Non dico che sarà una via crucis, visto che il sole è velato dalle nuvole, ma, insomma, ho voglia di sbrigarmi. Per fortuna le gambe rispondono e, contrariamente a quel che ragionevolmente prevedevo, riesco a farle girare. Controllo spesso l’orologio e faccio stime sul tempo di arrivo e nel frattempo vedo che spesso sto girando sui 4’40” al km. Se fossi in condizioni appena più decenti potrei andare davvero forte e mi vien da pensare ai ritmi che avranno tenuto i primi su questa poderale in leggera discesa. Attraverso un paesino, in cui una tifosa, ispirata dalla maglietta e dal buff piuttosto vistosi, mi grida che sembro un fiorellino e io prendo il complimento come se fosse rivolto al mio aspetto, mentre auspico, prima o poi, di imboccare un sentiero, visto che i km all’arrivo sono ormai pochissimi e il dislivello da scendere è ancora di alcune centinaia di metri. Infatti comincia il sentiero, da cui, complice il sole rispuntato, emana un calore da bassa valle valdostana. I fatidici 50 km si avvicinano, ma mi sembra che il castello sia ancora un po’ lontano e, infatti, parte un traverso in leggera salita, maledetta salita. Ho staccato le persone che aveva superato in discesa, il tempo finale non avrà gran significato e tiro fuori ancora il telefono per fotografare dall’alto il castello.

Incrocio pure i bambini che stanno affrontando la gara a loro riservata e mi sorprendo a vedere il primo che corre in salita con grande agilità: “sicuramente è uno sciatore di fondo”, penso, e, infatti, quando taglierà il traguardo per primo scoprirò che avevo visto giusto. Riconosco pure la figlia di Monica, che sale bella determinata e che sarà la prima delle bambine. E finalmente arrivo! Oltre ai compagni di gara ci sono pure Alberto, che ha corso la 26 km e Francesca che si è limitata alla non competitiva. “Limitata” lo dice lei, ma in realtà 14 km con 1000 metri di dislivello se li è sparati.
Si mangia bene – se non lo si è capito, l’organizzazione del trail è stata impeccabile -, si chiacchiera, si sta tra prato e tavolo con una serenità da troppo tempo sconosciuta, si scatta una foto di squadra, si scopre che Collè ha perso di pochi secondi dallo svedese, che è marito di Mimmi Kotka, che ovviamente ha stravinto tra le donne e che ha delle delle gambe dalla muscolatura impressionante e, quando Alberto e Francesca se ne vanno, vedo che Alberto ha un cesto, cioè è stato premiato, è arrivato quinto.

Monica riparte con marito, figlie e cane, io e Andrea andiamo a salutare dei suoi amici che abitano a pochi chilometri di distanza e ci ristorano con birra, caffè e sane risate. Non troviamo un gommista aperto e rientriamo con il ruotino a Genova, dove il figlio grande si è divertito a spadellare e trovo quindi la cena pronta.
Stamattina mi sono pesato e, per la prima volta dopo un po’ di anni pesavo 72 kg, ma forse dovevo reintegrare ancora un po’ di liquidi. Rosso come un peperone in viso, gambe e braccia, penso che prima o poi dovrò ricordarmi di mettermi la crema solare alla prima gara di stagione. Dimenticavo, il già ricordato immane sforzo di tenere i bastoncini da un paio di etti, mi ha indolenzito i bicipiti come se avessi scalato su strapiombi per un giorno intero.
Puntate precedenti:
Verso il Tor des Géants (1). Preso!
Verso il Tor des Géants (2). Sogni mostruosamente proibiti
Verso il Tor des Géants (3). Un abbozzo di programmazione
Verso il Tor des Géants (4). Adesso parlo davvero di allenamento.
Verso il Tor des Géants (5). Dimagrire, camminare e scendere veloci.
5 pensieri riguardo “Verso il Tor des Géants (6). Salite vere e finalmente una gara”