Verso il Tor des Géants (8). Monte Rosa Skymarathon

La cattiva notizia è che neppure questa volta io e Andrea siamo riusciti a superare il cancello orario di Punta Indren in discesa, le altre notizie sono tutte buone.

Partiamo da una settimana prima della gara, quando la salita del Breithorn con Alessandro mi aveva reso fiducioso. Mentre io mi dedico ad allenamenti leggeri, Alessandro e Pietro decidono di salire a Punta Indren per rendersi conto di quanto occorra spingere per restare nelle 3 ore del primo cancello orario. Il messaggio che mi arriva è inequivocabile: con 2h58′ Ale è rimasto sotto il tempo limite, ma la neve era molla e la salita classificata secondo il grado più alto della scala di difficoltà dello skyrunnig: culo fotonico. Memore della fatica sconfinata fatta 2 anni prima durante la ricognizione pre-gara, non mi faccio abbattere e conforto il mio omonimo.

In settimana, al mercoledì, sperimento il mix vaccinale, quindi con una dose di Moderna rinforzo la dose di AstraZeneca iniettatami a marzo e, per fortuna, i sintomi indesiderati si limitano a un po’ di fastidio al braccio. Eccoci allora a venerdì, con il compagno di cordata Andrea che mi passa a prendere. Il glorioso Fiat Scudo di due anni prima è stato messo in pensione, perciò ci toccherà andare a dormire in un letto vero. C’è anche Alberto, che, in cordata con Nico, ha propositi ben più ambiziosi di me e Andrea. Prima tappa a Busalla, dove ci vediamo con Nico e altri due temerari (uno si chiama Alessandro, ma a questo punto cominciano ad esserci un po’ troppi Alessandri, quindi li chiamerò “i busallesi”). Ad Alagna il briefing si svolge all’aperto invece che all’interno del palazzetto, e riceviamo una notizia, la più infausta: il cancello orario di Punta Indren in discesa non sarà di 7 ore e mezza, ma, a causa delle alte temperature, di sole sette ore. Preoccupati, gironzoliamo un po’ per il paese, dove uno, che riconosco come il grande favorito Nadir Maguet, mi saluta. Visto che non ci siamo mai incontrati, è chiaro che mi confonde con qualcun altro. Incontro Gianfranco, che non vedo da anni e che ha tutti i numeri per fare un bel tempo, ma ha il compagno di cordata mezzo azzoppato e incontro l’immancabile e simpaticissimo Paolo Rubaldo. Finito di gironzolare, saliamo per la Valle Vogna, vallata laterale della Valsesia, e arriviamo a Sant’Antonio, dove il gestore della baita in cui dormiremo carica sul fuoristrada noi e altre tre persone. La frazione di Peccia è deliziosa, siamo a circa 1500 metri di quota in una casa Walser del 1600. Visto che in gara non avrò certo tempo per le foto, ne scatto qualcuna.

A cena si mangia tanto e bene, si chiacchiera e si scopre che la cordata dei lecchesi non è composta da due scarsoni: il giovanissimo, Rota, ha già vinto dei titoli nazionali nelle categorie giovanili di corsa in montagna, il vecchio (vecchio un corno, ha quasi 15 anni meno di me) accenna a qualche piazzamento diciamo prestigioso. “Ma come ti chiami?” chiedo io, “Stefano Butti” mi risponde. Epperò, lasciando stare le vittorie, questo è uno in grado di arrivare terzo al Giir di Mont, una delle skyrace più importanti, una gara nel cui albo d’oro figurano Poletti, Meraldi, Mejia e, per 5 volte, Kilian Jornet.

Nel silenzio del legno e del paesino isolato, dormo beato fino alle 4, quando ci alziamo per la colazione. Il gestore, gentilissimo, ci ha preparato anche un po’ di riso in bianco e ci riaccompagna in fuoristrada alle nostre auto. Ad Alagna vediamo Alessandro e Pietro, ma non vediamo gli altri compagni, ma siamo in tanti, non ci preoccupiamo. Vediamo arrivare il dream team di Collè e Pivk e partiamo.

Nel bosco i frequenti colli di bottiglia non mi disturbano più di tanto, li considero dei momenti per tirare il fiato e risparmiare energie in una giornata in cui ne serviranno parecchie. Al primo ristoro alla Bocchetta delle Pisse siamo leggermente più veloci rispetto a due anni prima, bevo un po’ di sali e calzo i ramponcini. In queste settimane si è sciolta moltissima neve, quindi camminiamo spesso sulle pietre e sotto i piedi sentiamo quel bel rumore che fa pensare a lontane esperienze di scalata sul misto. Il ritmo è buono, la fatica si fa sentire, ma vedo che dovrei restare dentro il fatidico cancello orario di 3 ore fissato a Punta Indren. Per il momento io sono davanti, Andrea poco dietro e la vistosa maglietta della divisa Sisport è per lui un sicuro punto di riferimento.
Ancor prima di arrivare ai 3000 metri di quota comincio ad avvertire un vago mal di testa al quale cerco di non dare peso, ma che mi stupisce, ad ogni modo arriviamo al cancello di Punta Indren con sufficiente anticipo e nella calca beviamo qualcosa, ci leghiamo e ci copriamo. La giornata è bella, ma il cielo non è sempre limpido e soffia un po’ di vento, perciò tiro su i manicotti, indosso la giacca e i guanti e sostituisco il Buff attorcigliato intorno alla fronte a mo’ di bandana con il berrettino da fondo. Dopo pochi minuti il mal di testa sparisce e allora mi rendo conto che era dovuto al Buff un po’ troppo stretto: mi era già capitato a volte d’estate, ma sotto sforzo non avevo avuto la lucidità per pensarci.
Nel canalone con le corde fisse si forma nuovamente un po’ di coda e siamo costretti a rallentare, ma, di nuovo, non me ne preoccupo troppo, perché risparmiare un po’ di energie non ci farà male. Dopo le corde fisse passa avanti Andrea, che sta andando leggermente meglio di me. La neve non è nelle condizioni migliori, per ora non si affonda, ma non è neppure delle più compatte. Quanto ai crepacci, che al briefing erano stati annunciati come pericolosi, in effetti non mancano e, a gara conclusa, scopriremo che in effetti l’elicottero è intervenuto per soccorrere un atleta finito dentro un crepaccio. Si sale, si fatica e, al Colle del Lys abbiamo la bella sorpresa di vedere i due compagni di squadra Piero e Marco che stanno salendo con gli sci e che ci immortalano. Un bel po’ prima avevano fotografato anche Alberto e Nico, che noi non abbiamo visto, ma che non abbiamo dubbi che siano moooolto più avanti.

Poco sotto la vetta arriva una ventata che ci fa sbandare e, praticamente in cima, incrociamo Alessandro e Pietro, che temevo fossero rimasti dietro di noi. Il tempo di un bicchiere di tè e ripartiamo per la discesa: se tutto va bene, possiamo farcela: io sono meno stanco di due anni fa (non ho neppure vomitato!), ma le condizioni della neve non aiutano. Sotto il colle del Lys superiamo un crepaccio non largo, ma davvero profondo, poi, in una delle tante cadute, scivolate e imbelinamenti vari mi si sposta un rampone. Fatico a risistemarlo, così seguo il consiglio di Andrea: “toglilo”. Me lo appendo all’imbrago, ma in effetti scivolo un po’ più spesso. (Apriamo una parentesi: non è che io sia particolarmente imbranato, tutti scivolano, compresi i primi, infatti quando, salendo, avevamo incrociato la prima cordata che stava volando in discesa, persino il Mago Maguet aveva toccato terra con un ginocchio e non lo stava facendo in segno di umiltà nei miei confronti). Alle corde fisse probabilmente ci giochiamo la gara: c’è intasamento, si scivola molto, i responsabili della sicurezza son costretti a rallentarci e il cronometro supera inesorabilmente le 7 ore. Siamo attaccati ad Alessandro e Pietro e per alcuni minuti ci illudiamo ancora di farcela perché alla fine del tratto ripido non c’è nessuno che ci ferma, ma dopo poco, appena prima di Punta Indren, veniamo bloccati. Un po’ di amaro in bocca rimane perché eravamo sotto le 7 ore e mezza che fino al giorno prima ci avrebbero permesso di continuare fino a valle e tagliare il traguardo, tuttavia Andrea ed io non possiamo rimproverarci nulla: siamo saliti bene, eravamo affiatati e nelle stesse condizioni di forma, siamo contenti di un’altra bella giornata sui monti e, con un po’ di orgoglio, possiamo dirci che salire in meno da 6 ore da Alagna alla Capanna Margherita è comunque una figata.

Alla stazione della funivia ci sleghiamo, togliamo imbrago e ramponi e scendiamo insieme a Paolo Rubaldo, anche lui rimasto fuori di un soffio. Sul telefono controlliamo anche messaggi e classifiche e abbiamo la conferma dello stato di forma di Alberto e Nico, che sono arrivati ventottesimi in sole 6h41′, giusto davanti ai compagni di baita Butti e Rota! Quanto ai vincitori, 4h45′ è un tempo peggiore rispetto a quello dei vincitori di due anni prima, ma le condizioni della neve erano davvero proibitive. E sempre a proposito di vincitori, Boffelli vince per la terza volta di seguito, ogni volta con un compagno diverso.

Giunti in paese, con Andrea saliamo in auto al parcheggio dove avevamo dormito due anni fa con l’intenzione di lavarci nel fiume, ma quando arriviamo constatiamo che il fiume è troppo impetuoso, perciò ridiscendiamo in paese e raggiungiamo Alberto e Nico che si stanno rinfrescando presso, anzi in un trogolo. Quel che segue sono svestizioni, atti quasi osceni, mangiate di frutta e noccioline, attese degli amici, analisi della gara, battute delle quali non trascrivo nulla, limitandomi a suggerire qualcosa con le foto.

Considerazioni finali.

  • Alberto aveva promesso di offrirmi una birra se fossi stato finisher, invece è toccato a me offrirgliela molto volentieri.
  • Sicuramente molti che leggono queste righe sono saliti alla Capanna Margherita, quindi saranno in grado di capire quanto siano andati forte Alberto e Nico: 2 ore dalla vetta a valle è roba che fa pensare che avessero gli sci ai piedi!
  • Alberto e Nico hanno confermato dopo poche settimane di essere davvero in forma; il primo vincendo il Gran Trail Courmayeur da 55 km, il secondo piazzandosi terzo al Monterosa Est Himalayan Trail da 105 km.
  • Sto già pensando all’anno prossimo: Andrea sembra intenzionato a non riprovarci, quindi potrei tentare con Alessandro.
  • Per quanto riguarda il materiale utilizzato, rimane valido quel che scrissi nel mio pezzo sulla gara di due anni fa, se non per il fatto che, vista la temperatura elevata, non ho infilato nello zaino neppure uno strato intermedio.
  • In ottica Tor des Géants, ha senso una gara di questo genere? Potrei rispondere che Franco Collè, quest’anno secondo e nel 2018 primo, ha vinto il Tor due volte, una delle quali proprio nel 2018. Ma lasciando stare Collè che si trova atleticamente in un’altra galassia rispetto a me, penso proprio che una gara di montagna con una salita così lunga non interferisca con una preparazione orientata al Tor. Dal punto di vista mentale, poi, sono entrambe gare che comunque richiedono un minimo di senso della montagna e, se mi permettete di essere sdolcinato, un grande amore per la montagna.
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