Il pacchero. Recensione gastronomica apocrifa

Tre giorni fa sono andato con mia moglie in un ristorante. Sapevamo che non era economicissimo, tuttavia, visto che vi avevamo già mangiato e il cibo ci era piaciuto, siamo ritornati volentieri. Per di più le sale hanno dei bei soffitti alti e i tavoli sono molto distanziati, tanto da farti sentire un po’ in una scena di Barry Lyndon.

Per ora non indosso la parrucca, tra qualche anno chissà

I 15 euri per i 4 tortelli 4 del primo piatto di mia moglie ci sono sembrati un po’ tanti, forse anche perché quando, da giovani, si andava nello stesso locale, si prendevano birra e panino a un prezzo normale, ma, appunto, i tortelli erano buoni e non le sono andati di traverso. Oggi però ho deciso di nobilitare i paccheri che ho cucinato per pranzo e cosa c’è di più nobilitante che estrarre il singolare dal plurale? Ho dunque isolato un pacchero dalla volgare padella traboccante ed ecco il risultato con nome à la page e descrizione analitica non del tutto fedele agli ingredienti effettivamente usati.

Nome del piatto: il pacchero

Descrizione: lavorazione di grano duro antico di Gragnano con melanzana sciacchitana nera stufata in tahina libanese, limone femminello siracusano e polvere di pomodoro di Pachino. L’aglio di Vessalico e l’olio di Oneglia sono la tappa di partenza di un viaggio nel Mediterraneo che dalla Liguria passa per la Campania, tocca le terre siciliane della Magna Grecia e giunge nell’antica Fenicia.

Prezzo: 15 eurini (è gradita la mancia)

7 pensieri riguardo “Il pacchero. Recensione gastronomica apocrifa

  1. La presentazione è tutto. Mi è rimasta impressa, molti anni fa, la glace au parfum de vanille avec ses tuiles di un ristorante parigino relativamente costoso, che erano tre palle di gelato industriale con due cialde industriali piantate sopra. Ma vuoi mettere il gusto ineffabile di quell’ “avec ses tuiles”?
    Hai un futuro come ristoratore.

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