Puoi essere motivato quanto vuoi, ma se non sai affrontare una pietraia bagnata di notte, a salvarti non è l’aver voglia di fare le cose, ma il saperle fare.
me medesimo
Pubblico questi miei consigli a pochi giorni dall’inizio del Tor des Géants 2022, quindi molte cose potrebbero non aver più molto significato quando ormai ciò che resta da fare è partire. In particolare, per lo meno per il Tor 2022, domandarsi perché lo si vuole correre non è un dilemma da affrontare a settembre, ma casomai a gennaio. Tuttavia quel che segue penso che possa essere d’aiuto anche a chi tra una settimana partirà per i 330 km (in realtà sono almeno 350) delle due alte vie della Val d’Aosta.
Avete presente i vari slogan tra il motivazionale e il pubblicitario che recitano “nothing is impossible”, “everything is possible”, “se lo vuoi, puoi”? Ecco, non è che io li ami tanto. Non dico che non possano essere d’aiuto e che non ci aiutino a dare il meglio di noi stessi, ma a volte temo che avvenga uno scambio di priorità a causa del quale si mettono in primo piano degli slogan che devono essere funzionali a un obiettivo e non viceversa.
Mi spiego meglio.
Personalmente penso che la motivazione principale per partecipare a una gara come il Tor debba essere l’amore per la montagna. Qualcuno potrebbe pensare che questa sia un’ovvietà riferibile a qualsiasi trail, ma non è così, perché il Tor ha alcune peculiarità al di là di svolgersi in uno splendido scenario ambientale: è lunghissimo, lascia pesanti tracce di fatica nel fisico ed è pericoloso. Non è pericoloso perché presenti tratti tecnicamente molto impegnativi o molto esposti, tuttavia durante la gara si affrontano sentieri potenzialmente pericolosi sicuramente di notte e in condizioni di estremo affaticamento e scarsa lucidità. Questo se va tutto bene. Se non va tutto bene, queste difficoltà vanno affrontate magari sotto la pioggia o sotto la neve. La frase che ho scelto come epigrafe, che poi è tratta dal resoconto del mio Tor, significa proprio questo, cioè che in una situazione di difficoltà in montagna, sicuramente stanco, forse poco lucido, magari di notte e addirittura con la pioggia, tu devi avere la capacità tecnica di tirarti fuori da solo dalla situazione. Moltissimi punti potenzialmente pericolosi infatti non sono presidiati, non per negligenza dell’organizzazione, ma perché è oggettivamente impossibile mettere in sicurezza 350 km. Prima di iscriverti devi allora domandarti onestamente se ti ritieni in grado di cavartela. Non se ritieni di avere risorse imprevedibili che usciranno fuori nel momento dell’emergenza, ma se quelle risorse le hai davvero.
Fatta questa premessa, passo alle mie idee su che cosa ci debba spingere ad affrontare il Tor: se è la sfida con noi stessi, se è il capire fin dove possiamo spingerci forse siamo un po’ fuori strada e rischiamo appunto di sottovalutare i rischi della gara perché gonfiamo eccessivamente il nostro ego. A maggior ragione mi convince poco l’idea che il Tor debba essere il gradino successivo dopo aver concluso la maratona di New York, la 100 km del Passatore, l’Ironman, l’UTMB, come se dovessimo vergare un segno di spunta a fianco di tutto le prove cosiddette estreme. Certamente tutte queste motivazioni possono esistere, ma se sono l’unica molla che ci conduce ad iscriverci, mi permetto di dire che non sono molto d’accordo. Sono convinto che il piacere di muoversi in un ambiente bellissimo debba venire prima di tutto, dopodiché penseremo alla sfida con noi stessi, a quella con gli altri corridori, a quella con il cronometro e potremo persino superare le difficoltà ripetendoci che “nothing is impossible”, “everything is possible”, “se lo vuoi, puoi”. E, ancora, troveremo tante altre motivazioni diverse per ognuno di noi. Se vi interessa, nella mia guida all’UTMB, avevo stilato un breve elenco di motivazioni che in buona parte possono applicarsi al Tor.




Sperando quindi di non invadere il campo degli psicologi, concludo dicendo che non si corre il Tor per dimostrare che “tutto è possibile”, ma che lo si corre perché è bello farlo, e se inizialmente sembra impossibile farcela, si allenerà la volontà per renderlo possibile.
Benché tutte ragionevoli e ben argomentate, le motivazioni che elenchi non mi bastano perché si attagliano a gare e sfide normali, non estreme come il Tor o il Nanga Parbat in stile alpino e senza ossigeno (e magari d’inverno via Mummery). Io credo che forse solo la prima che tu elenchi possa semmai essere vicina al vero: qualche profondo richiamo inconscio che affonda le sue radici nell’infanzia. Credo che là a volte si annidino le ragioni dei fallimenti rovinosi così come le motivazioni per le imprese ‘sovrumane’
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Il Tor è concluso da centinaia di persone ogni anno, non posso qualificarlo come “estremo”. Può essere estremo individualmente parlando, ma lo considererei più semplicemente come una gara molto faticosa. Lo sperone Mummery al Nanga Parbat d’inverno è invece davvero estremo, al punto che Nardi e Ballard vi sono rimasti per sempre.
Quanto alle motivazioni, sono davvero varie e in fondo questo è il bello. Certamente in non pochi casi c’è qualche cosa di irrisolto che può spingere verso l’estremo in una forma poco sana e pericolosa (per l’incolumità fisica e mentale e talvolta per la vita stessa).
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Non pensavo ai casi patologici (il tizio col tutone alare che si butta da El Capitan) bensì alle nostre normali circostanze vitali, che sono pilotate anche dall’inconscio.
(PS: benché l’impegno economico sia molto superiore, sono centinaia all’anno anche quelli sugli Ottomila, se agli alpinisti sponsorizzati sommi i ‘turisti estremi’ dell’Everest)
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Sui turisti dell’Everest è meglio che mi taccia. Anzi no, mi sono espresso a proposito un paio di volte: qui https://ilballodeizanzoni.home.blog/2019/05/27/salire-in-cima-alleverest-non-e-un-diritto-note-di-etica-alpinistica/ (a distanza di pochi anni, dovrei rivedere un po’ di cose: il giudizio su Nirmal Purja è sicuramente più complesso e la salita della francese Revol, comunque straordinaria alpinista, avvenne con l’uso dell’ossigeno supplementare) e qui https://ilballodeizanzoni.home.blog/2021/05/26/il-cieco-non-il-ceco-in-cima-alleverest/
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