Con un ritardo di cui non mi sento colpevole, oggi ho scoperto che già dall’anno scorso alla maratona di New York era stata introdotta la categoria per le persone di genere non binario che non si riconoscono in nessuno dei due generi tradizionali. Quest’autunno la maratona più famosa (ma non più importante dal punto di vista strettamente agonistico) sarà imitata da Berlino e da Chicago, cioè le due maratone più veloci (i primati mondiali maschile e femminile sono stati realizzati in queste due città), e dal 2023 lo stesso accadrà alla più storica delle maratone, cioè Boston, e a Londra, agonisticamente di gran lunga la maratona con il livello più alto dei partecipanti, al punto che è molto più difficile da vincere di un campionato del mondo e forse anche di una maratona olimpica.
Di primo acchito verrebbe da liquidare la novità come una bizzarria meritevole solo di considerazioni quasi psichiatriche, visto che dal punto di vista sportivo il genere autopercepito ha lo stesso rilievo delle opinioni politiche o religiose. In altre parole: sui 42195 metri, che la maratoneta Lucia non si percepisca femmina e il maratoneta Lucio rifiuti di percepirsi maschio ci dovrebbe importare quanto il fatto che Lucia voti per un certo partito e Lucio sia ateo o ebreo o scintoista. Per essere ancora più chiari: sui 42 km e 195 metri contano i muscoli e chi nasce maschio ne ha di più, per quanto possa non piacergli l’idea di essere maschio, femmina o sassifraga. Qualche anima bella ma poco addentro alle cose di maratona forse potrà dire che negli sport di resistenza le femmine sono performanti quanto i maschi, ma, ahimè, la realtà contraddice questa nobile opinione, perché il record mondiale maschile della maratona è di 2h01’39”, quello femminile 2h14’04”, e, soprattutto, nei soli primi 8 mesi e mezzo del 2022 ci sono già stati 443 uomini che hanno corso più veloci di quanto fece tre anni fa a Chicago Brigid Kosgei.
Gli organizzatori di 5 delle 6 maratone più importanti del mondo (la sesta è Tokyo) si sono bevuti il cervello? Io direi che non hanno fatto bene i conti quando hanno deciso di dare un contentino politicamente corretto e proverò a delineare uno scenario futuro a mio avviso assai probabile.
Prima di tutto partirei da una battuta che lessi diversi anni fa e che più o meno diceva che da una parte ci sono i maratoneti, poi ci sono quelli che corrono la maratona di New York. La battuta significa che la maratona di New York, che non a caso ha un tempo massimo molto più elevato delle altre maratone, è corsa da tante persone che non solo non hanno la preparazione da maratoneti o maratonete, ma spesso sono a malapena podisti o podiste della domenica. Però dire che si è corsa la maratona di New York fa figo e, se sei statunitense, è bello andare il giorno dopo in ufficio con la medaglia da finisher al collo. Piccole e costose – andare a New York costa – vanità umane. Nelle decine di migliaia di persone che corrono a New York c’è di tutto, dai campioni ai brocchi, dagli esibizionisti ai raccoglitori di fondi per tante charity e questo, insieme ai grattacieli, al ponte di Brooklyn, al Central Park rende affascinante la gara per tante persone. In questo contesto, che nel mezzo dei quarantamila ci siano alcuni non binari senza velleità agonistiche potrebbe essere rilevante quanto il fatto che ci siano alcuni che praticano il retrorunning e corrono al contrario (il retrorunning esiste davvero e non è solo roba per gente che vuol finire nel Guinness dei primati).
Però.
Però quella che poteva essere la peculiarità della città più cosmopolita del mondo, organizzatrice di una maratona che in fondo è anche un po’ un carnevale, si è già estesa ad altre maratone. È davvero impensabile che, in nome del politicamente corretto, nel giro di un paio di anni qualcun* (chiedo scusa, ma il contesto mi obbliga a usare questo espediente) arrivi a chiedere la parità dei premi tra le categorie femminile, maschile e non binario? In fondo, perché il non binario dovrebbe essere discriminat* in una maniera tanto odiosa? Ecco allora che una trovata, o forse una resa, degli organizzatori che sarebbe andata bene per una buffonata allegra corsa come la Color Run organizzata in Italia da RCS Mediagroup, rischierebbe di creare situazioni non proprio limpide. Escludiamo che una maratoneta da 2h20′ o un maratoneta da 2h06′ rinuncino a sfidare le altre femmine o gli altri maschi: sono persone che si allenano come bestie per arrivare a correre in quei tempi e il loro obiettivo è quello di giocarsela con quelli e quelle forti come loro. Prendiamo però un keniano che corra in 2h18′. Tempo irraggiungibile per oltre il 99% dei maratoneti, ma che in Kenia significa avere ogni anno almeno altri 150 atleti più veloci di te. Non sono dati che mi invento, mi baso sulle statistiche del sito della IAAF. L’atleta keniano magari è uscito dal Kenia un paio di volte, giusto per correre una maratona in 2h18′ e qualche altra gara su strada. Per il resto, vive molto semplicemente, non sa nulla di identità di genere non binaria e se anche ne sapesse qualcosa non gliene fregherebbe niente. Il suo manager – in Kenia ci sono parecchi manager e allenatori sia occidentali sia locali che gestiscono molti corridori soprattutto per le gare su strada – un giorno gli dice che potrebbe iscriversi alla maratona di New York come non binario, vincere, portarsi a cassa il primo premio da centomila dollari e dare una svolta non da poco alla sua vita e a quella dei familiari.
Fantascienza? In fondo l’ipotetico keniano non potrebbe giocarsela con i migliori e, non solo a New York, ma anche in Kenia resterebbe un maratoneta di secondo piano, perché allora non dire che non se la sente di identificarsi come maschio?
Non è che ai vertici delle World Marathon Majors si sono lasciati sopraffare dai buoni sentimenti senza preoccuparsi delle conseguenze delle proprie nobili azioni?

Sottoscrivo. (Anche se in USA questo post ti costerebbe il ruolo di insegnante in quanto denigratore di diritti umani, alla faccia della ragionevolezza del tuo argomentare. Questo è, colà, l’andazzo. 😉)
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E già, speriamo che non mi neghino il visto se mai dovrò andare negli Stati Uniti.
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