Luoghi comuni (14). Il karma e il patriarcato.

Un luogo comune supremo sarebbe quello di unirli in un’unica frase, ma lascio questo compito ai miei eventuali commentatori che volessero cimentarsi nel gioco enigmistico.

Karma. Per molti non più giovani come me il primo karma è stato quello camaleontico di Boy George. Non ne ho le prove, ma credo proprio che sia così; quando sono andato per la prima volta a Londra, nel 1984, Boy George era famosissimo, penso che in Inghilterra la sua fama fosse paragonabile a quella della regina Elisabetta. Nel museo delle cere di Madame Tussauds l’ambientazione della statua del cantante dei Culture Club prevedeva come colonna sonora proprio Karma Chameleon.

Crescendo, ho imparato che il karma è una cosa seria, anche se, a dir la verità, non ho mai approfondito più di tanto la mia conoscenza del buddismo.
Poi il karma si è per così dire laicizzato, al punto che l’efficace ironia sulla sua occidentalizzazione ha condotto Francesco Gabbani a vincere un festival di Sanremo.

Oggi constato con un misto di divertimento e di fastidio che il continuo ricorso alla parola “karma” viene fatto con un significato molto vecchio stile – più ancien régime che old style – che più o meno tradurrei con “Cristo ti castiga”.

In effetti è curioso che in una società profondamente laicizzata, in cui l’idea di remunerazione ultraterrena più che rifiutata lascia indifferenti, si riaffacci nella forma del karma che premia i buoni e, soprattutto, punisce i cattivi.

Patriarcato. Negli anni della mia formazione universitaria era un termine che potevi trovare sulla bocca di secchioni come me e i miei amici, magari tirando in ballo pure Bachofen e il matriarcato. Poi è venuta l’Inghilterra (di nuovo) e la formazione post-laurea, è venuto l’incontro, con molta repulsione, con i gender studies, ma il patriarcato rimaneva in nicchie da specialisti.

Adesso è un po’ imbarazzante fare dell’ironia sull’uso della parola, perché se è sulla bocca, sulla penna e sulla tastiera di tanti è per ragioni drammatiche ed eventi orribili. Voglio dire: come faccio a dire che una certa foga contro il patriarcato ha dei risvolti ridicoli se pochi giorni fa una giovane è stata ammazzata da un ex patologicamente geloso? E come si fa ad arrabbiarsi se la persona che forse ci ha fatto più di chiunque una testa così con il patriarcato è una scrittrice della mia età di grande presenza e fama mediatica, ma tristemente morta di malattia?

Allora, visto che temo che uno dei prossimi incarichi ufficialmente affidati agli insegnanti sarà la lotta al patriarcato, mi limito a dire che a me sembra pedagogicamente più efficace parlare di maschilismo. A un bambino forse puoi dire “guarda che il tuo amichetto può benissimo giocare con un bambolotto e la tua amichetta può giocare a calcio, non essere maschilista!”, ma difficilmente puoi dire “la tua avversione verso il fatto che il tuo amichetto giochi con le bambole e la tua amichetta giochi a calcio perpetua il patriarcato”.
Quanto a me insegnante, ho sempre pensato che più efficace dei pistolotti moralistici, che sicuramente qualche volta mi son scappati, sia dire agli alunni “accidenti, ieri sera mi son tolto la fede dal dito per impastare la torta di verdure e adesso quando batto la mano sulla cattedra non faccio abbastanza rumore.” “Ah, ma lei cucina, prof?” “Certo, i vostri padri non lo fanno?”

Il patriarca impasterà la pizza?

Appendice. Sulle questioni attualissime, segnalo l’intervento di Paolo Magrassi e quello di Leonardo Tondelli.

9 pensieri riguardo “Luoghi comuni (14). Il karma e il patriarcato.

  1. Attendevo che qualcuno scrivesse un articolo un po’ piu’ freddo e meno travolto dalle emozioni estreme. Grazie Alessqndro. Da lontano la mia visione dell’Italia di questi giorni è purtroppo sempre la stessa. E cioè un paese che è saldamente, stabilmente e profondamento avvolto da un principio “monoteista”… questo si molto patriarcale. Mi spiego. Si cerca per tutto e su tutto, ad ogni manifestazione buon, cattiva, pessima o eccellente che sia del vivere civile, come singolo e come comunità, sempre e soltanto la “causa unica”, credo che i filosofi una volta usassero la poco felice definizione di “causa motrice”. Ed era inevitabile che in un substrato culturale di questo tipo, non si arrivasse alla semplificazione di cui tu parli. L’ho notato anche qui su WP, e anche su blog che seguo con molta attenzione e con rispetto, per la ricchezza di contenuti e per la solidità dei titolari. Credo che l’efferatezza di quanto successo, porti anche chi reputo abbondantemente sopra la media, ad essere stravolto dall’emotività e dal solito modo morboso con cui i media si accaniscano su vicende simili, per cui posso intuire il perchè di certe semplificazioni anche da parte di chi è più portato a leggere situazioni complesse con strumenti emotivi ed analitici. L’Italia resta un paese profondamente “monoteista” e semplificatore: credere che ci sia sempre e solo una causa unica. Ieri poi, mi è arrivata da una amica boomer (mi spiace dover usare questo termine.. purtroppo sono sempre più convinto che esista in Italia questa mentalità, perchè una ben precisa generazione non è stata abituata alla lettura dei numeri ed è stata molto incanalata verso l’uso della retorica a discapito di quella dei numeri) un video, di un noto professore universitario, che spesso presenzia nei media italiani (nei talk-show), in cui apparecchiava una teoria molto ben esposta da un punto di vista estetico sulla causa unica del momento: il patriarcato. Causa unica che non solo era causa di quanto accaduto alla povera ragazza uccisa (il che in un momento come questo ci sta), ma che a suo avviso, era anche la causa di tragedie interazionali a cui purtroppo stiamo assistendo da 2 anni e da 2 mesi in altre latitudini. Li’ ho capito che per l’Italia non c’é speranza alcuna di poter arrivare ad analizzare dati in maniera seria, su fenomeni complessi e su scenari totalmente differenti per poi capire quali misure mettere in azione su scenari diversi.

    p.s. : è da quando avevo 6 anni, che quando puntualmente avviene qualcosa di disgraziato in questo paese, sento poi tutti convenire su: se ne deve occupare la scuola. Ed anche qui, vi è lo speculare della causa unica: la soluzione unica e che arriva dall’alto. Tutto vomitevolmente “monoteistico”.

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  2. Stando ai dati EU, le donne uccise da partners o ex sono meno da noi che in Svezia, Finlandia, Olanda, Germania.
    Eppure sono meno ‘patriarcali’ di noi…
    Però hanno più immigrati musulmani, che son patriarcali non poco…
    🤔
    E son d’accordo con te, semmai si dovrebbe parlar di maschilismo.

    E le cause son verosimilmente più d’una, come bene dice Fritz. Eccone un’altra oltre al maschilismo: potremmo essere in presenza di un nascente fenomeno giovanile, come per es. il trend ‘Malessere’ su TikTok indurrebbe a sospettare. Ciò sarebbe corente con la prevalenza dei femminicidi in Nord Europa, perché la loro popolazione giovane è più numerosa.

    Comunque i numeri sono così piccoli (2,5 vittime/anno ogni milione di donne) da rendere ardue analisi ed estrapolazioni.

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        1. Per lavoro sono stato a contatto gli ultimi 6 mesi con la Lituania quasi quotidianamente. Sono stato anche lì per non pochi giorni. E mi ero documentato su alcuni dati sociali. Emergeva sia l’alto numero di suicidi in rapporto alla popolazione, sia quello di femminicidi, sia l’alto tasso di alcolismo. Non vorrei lanciarmi in correlazioni tra i tre grafici, ma analisti locali parlavano di un senso di frustrazione molto alto, a valle degli anno 2000, per i cambi che la popolazione doveva inseguire e che avevano portato a dei picchi intorno al 2008 su quei parametri, con correlazioni sociali e culturali di modelli del passato (ma non sempre). Come sempre sono difficili le letture di insieme di fenomeni cosi complessi e trovare le correlazioni. Sulla Lituania non posso permettermi di dire piu’ nulla. Osservo e riporto quanto letto. Sull’Italia ci sono a mio avviso concause sul tema femminicidio, e giustamente Magrassi fa notare tendenze sui social molto eloquenti molto prese sotto gamba a mio avviso. Inoltre, avendo vissuto 7 degli ultimi 13 anni fuori dall’Italia, è non solo per me, ma anche per i miei figli, oramai non più piccoli, notare un tasso di aggressività altissimo quando si rientra in Italia, indipendente dalla latitudine, secondo me non un fattore scatenante, ma sicuramente qualcosa da monitorare (non saprei come). So che è una sensazione empirica e non scientifica, ma inviterei a guardare anche a quanto ci circonda e non sempre alla soluzione unica, semplice, semplificate e consolatoria.

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  3. Certamente parlando con bambini è preferibile parlare di maschilismo, un concetto che un bambino o un preadolescente può capire abbastanza facilmente. Andando avanti con l’età, qualche cenno sulla mentalità patriarcale non ci starebbe male. La mentalità patriarcale esiste, in Italia è ancora molto diffusa, nel mondo islamico più che mai, nella Chiesa pure… poi, da brava storica, so che la “causa unica” non esiste: altrimenti tutti i maschi opprimerebbero o ucciderebbero le proprie donne, e per fortuna non è così. La cultura patriarcale è un substrato del quale a volte non ci accorgiamo nemmeno: io patriarcale? dice il cittadino comune, sicuramente in buona fede. Poi magari controlla il cellulare della sua ragazza, si scoccia se questa esce con amici senza di lui, preferisce che la moglie non guidi la macchina perché “tanto c’è lui”… eccetera. Chiaro che non tutti sono così, ma c’è alla base un pensiero, una cultura, che è difficile scalzare.

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    1. Se lei preferisce patriarcale, ok by me.PS: Non solo non tutti i maschi uccidono le loro compagne: non tutte le donne uccidono i loro bambini. 😉L’infanticidio è un delitto all’incirca della stessa incidenza del femminicidio ed è commesso per il 70% da donne. Nessuno ne deduce che nelle donne alligni l’istinto di uccidere il figlio, anche se basta intervistare le primipare per scoprire che non è raro avere l’impulso di buttare il fagotto nel cassonetto. Questo impulso è rapidamente soppresso nel 99,999999% dei casi, così come in tutte le persone alligna la sindrome ossessiva compulsiva (ho chiuso la porta? Il gas?) ma essa si trasforma in conclamata condizione psichiatrica solo nell’1,1% degli individui.Dal punto di vista sociologico, l’infanticidio non è reato-spia di un bel niente (se non di rare condizioni psichiatriche forse), mentre il femminicidio potrebbe essere (come io credo sia) un reato-spia della sottomissione femminile nella società, insomma, di quello che lei chiama il patriarcato: anche se nessuno lo ha mai dimostrato con credibilità scientifica.

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      1. PS2: Per tenerci entro il terreno della logica, non dovremmo dire “NON TUTTI GLI UOMINI UCCIDONO LE LORO COMPAGNE” bensì “PRATICAMENTE NESSUN UOMO UCCIDE LA PROPRIA COMPAGNA”. (Due virgola cinque italiani ogni milione, ogni anno, lo fanno)Il femminicidio è un fenomeno dalla prevalenza epidemiologica così bassa, da non potersene quasi trarre conclusione alcuna. Io trovo molto più interessante studiare (dico studiare, non urlacchiare in piazza) la violnza di genere. E se fossi uno studioso del settore, comincerei con l’analizzare il catcalling.

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  4. E’ vero: a seguito del femminicidio di Giulia Cecchettin si è discusso molto dell’eventualità di lottare contro il patriarcato introducendo nelle scuole una nuova materia, l’educazione affettiva. A educare i giovani in quest’ambito dovrebbe essere la famiglia; tuttavia, siccome molti genitori sono anaffettivi e quindi per definizione inadeguati a questo compito, si cerca di addossarlo alla scuola anziché a loro.
    Si cerca di addossare alla scuola dei compiti che spetterebbero alla famiglia anche perché molte famiglie non sono più tali, dato che si sono sfasciate quando il bambino era ancora piccolissimo. E qua ci dovremmo fare qualche domanda, perché se fino a poco tempo prima una coppia era così unita e affiatata da progettare di costruire una famiglia insieme e poi nel giro di pochissimo arriva alla decisione drastica di distruggerla, allora vuol dire che forse questa decisione drastica è stata presa troppo a cuor leggero, senza che ci sia stata la necessaria determinazione nel voler evitare a tutti i costi un finale così tragico. Tragico non tanto per i genitori, quanto piuttosto per il bambino: io che lavoro con i minorenni da molti anni posso assicurarti che per la felicità e l’equilibrio di un bambino è semplicemente fondamentale che i genitori stiano insieme.
    So che c’è una corrente di pensiero per cui “Il bambino soffre di più con due genitori uniti e infelici che separati e felici”: tuttavia ho sempre pensato che questa fosse una frase falsa e autoassolutoria, inventata da genitori che non sapevano gestire il proprio senso di colpa, e quindi sono arrivati a partorire la frase paradossale per cui a separarsi hanno fatto addirittura un favore ai loro figli. Ma mi faccia il piacere, come diceva Totò.

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